Anche quest’anno gli alunni italiani studieranno in scuole non a norma

Circa 7 milioni di studenti italiani stanno per tornare a scuola. Ma in quali scuole? Una larghissima maggioranza studierà in edifici vecchi, fatiscenti o – nella migliore delle ipotesi – irregolari. Quanto grave sia il pericolo lo spiegano i numeri: gli edifici scolastici in Italia, secondo l’anagrafe del ministero dell’Istruzione e del Merito, sono 39.993 e alunni, docenti, educatori e personale Ata dovranno trascorrere sotto ai loro tetti oltre 200 giorni per un totale, in media, di mille ore all’anno. “Una seconda casa”, come spiega il dossier di Tuttoscuola che ha raccolto ed elaborato i dati del Ministero. Tra questi, uno è il più significativo: meno di una scuola su 10, in Italia, rispetta le norme di sicurezza. I motivi secondo i Comuni, che hanno la proprietà di tutti gli edifici fino alle superiori , sono da cercare nell’assenza di programmazione: “Per legge la competenza in edilizia scolastica – spiega Elena Carnevali, delegata Anci all’istruzione e all’edilizia scolastica – è dei Comuni, ma con un ammortamento da parte dello Stato. Significa che, senza la programmazione nazionale, non si va avanti. Ma attualmente il piano per il triennio 2025-27 non vede neanche un euro stanziato. Gli Enti locali sono in difficoltà”. Scuole irregolari o insicure? Una premessa è necessaria: irregolare non è sinonimo, necessariamente, di insicuro. Alle scuole italiane sono richieste cinque certificazioni: il certificato di agibilità, il certificato di prevenzione incendi, il certificato di omologazione centrale termica, il piano di evacuazione e il documento di valutazione dei rischi. Sono documenti fondamentali per la sicurezza delle persone che frequentano l’istituto e, anche in assenza di uno solo tra i cinque elencati, la scuola non si può dire a norma. Al momento, sono 36.088 gli edifici privi di almeno una certificazione obbligatoria. In altre parole, oltre 9 scuole su 10 non hanno fatto i collaudi o non li hanno superati o non hanno elaborato i piani che valutano i rischi e stabiliscono le regole di evacuazione. Non significa, però, che in quasi tutti gli edifici scolastici italiani rischi di crollare il tetto. I cedimenti o gli incidenti, secondo il censimento dell’Osservatorio di Cittadinanzattiva, sono circa 60-70 all’anno. Perlopiù, negli edifici vecchi o inadeguati: 1.526 scuole italiane sono state costruite prima del 1920, secondo quanto comunicato dal ministero dell’Istruzione, mentre il 17% degli immobili scolastici del Paese è nato con una destinazione d’uso diversa e, solo in un secondo momento, ha aperto le porte agli studenti. In tutta Italia, sono 3.588 gli edifici completamente irregolari che non dispongono, cioè, di nessuno dei 5 certificati obbligatori. Due terzi di questi si trovano al Sud, dove le strutture sono più datate, con Abruzzo , Calabria e Campania che fanno registrare la percentuale più alta di scuole completamente irregolari sul totale. Le cause: i finanziamenti La fragilità dell’edilizia scolastica è una questione ultradecennale. Ma, di recente, è arrivata una “boccata d’ossigeno” per i Comuni: il Pnrr. “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza – spiega la delegata Anci all’edilizia scolastica – ha dato grandi disponibilità ai Comuni con i suoi 11 miliardi di euro. Ma, quando vedremo la fine di queste risorse nel 2026, saremo di fronte a un vuoto se non cambia niente. L’interesse c’è ad adeguare gli spazi, ma non si può fare niente se non sappiamo cosa accadrà nel prossimo triennio”. Elena Carnevali, rappresentante Anci e sindaca di Bergamo, fa riferimento al Piano di edilizia scolastica nazionale, che stabilisce quali interventi sono ammissibili con i soldi stanziati dallo Stato per la ristrutturazione e l’ammodernamento degli istituti. Piano che al momento, secondo la prima cittadina, “non vede un euro”. “Mentre i Comuni – continua Carnevale – hanno investito molte risorse proprie, il Ministero, da parte sua, ha fatto un censimento a cui non è corrisposto un finanziamento. Ma gli Enti locali non sono in grado di sostenere queste spese da soli”. Le spese per i Comuni non si limitano alla costruzione di nuovi edifici o alla ristrutturazione di quelli già in uso: “Se, per esempio, dobbiamo ammodernare una scuola in chiave antisismica – argomenta la sindaca – dobbiamo intanto capire dove trasferire gli studenti della scuola in ristrutturazione e dobbiamo portarli in altri luoghi sicuri e adatti alla didattica. Anche questo incide nelle casse dei Comuni”. Soprattutto nelle aree interne. Le cause: la burocrazia Per mettere in sicurezza le scuole, però, non bastano i fondi. Già da anni, l’Unione italiana delle province, ovvero gli enti che possiedono gli immobili delle scuole secondarie di secondo grado, lamenta una burocrazia farraginosa: “Le procedure sono talmente complesse – denuncia Upi – che fanno passare anche tre anni da quando i soldi sono stanziati a quando arrivano agli Enti”. Qualcosa è cambiato con l’avvento del Pnrr, ma i Comuni chiedono ancora semplificazione: “Abbiamo fatto le corse contro il tempo – conclude Carnevali – per spendere questi soldi. E, soprattutto quando si spendono fondi europei, è sacrosanto che avvenga una rendicontazione attenta. Ma questo approccio non deve diventare un labirinto, altrimenti è oggettivamente faticoso lavorare per i Comuni. Senza contare gli edifici con vincoli di tipo artistico o architettonico: a volte, in questi casi, si generano difficoltà nelle difficoltà”.

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Anche quest’anno gli alunni italiani studieranno in scuole non a norma

Andrea Ceredani