Violenza contro i minori: quello che (non) sappiamo

Quante bambine e quanti bambini subiscono violenza in Italia? Non lo sappiamo. O meglio, in diversi rapporti pubblicati da organizzazioni non governative e in molte tabelle prodotte da Istat e dalle amministrazioni pubbliche, i dati ci sono. Ma ci manca la visione d’insieme. Una lacuna che potrebbe essere colmata dal progetto DORA , avviato dall’Istat in collaborazione con diverse università italiane, e finanziato dalla Commissione europea. È il primo tentativo di costruire una base metodologica condivisa per misurare in modo sistematico e comparabile il fenomeno della violenza contro i bambini e le bambine, per capire come evolve ed evitare che le vittime possano aumentare anno dopo anno. Se pensiamo che l’Istat ha iniziato a occuparsi sistematicamente del tema solo dal 2023, è normale che la popolazione minorile sia rimasta per lungo tempo “invisibile” nelle statistiche ufficiali, nonostante i diritti dell’infanzia siano pienamente riconosciuti dalle convenzioni internazionali. Nella conferenza di presentazione del progetto, che si è tenuta lo scorso lunedì 16 giugno a Roma, è stato sottolineato più volte che per poter misurare un fenomeno occorre renderlo visibile, e quindi definibile: “Ovviamente non partivano da zero”, ha confermato Livia Ortensi, docente di demografia all’università di Bologna, “ci sono definizioni a livello internazionale, una tra tutte quella di Unicef”, per cui è violenza “qualsiasi atto deliberato, indesiderato e non essenziale, minacciato o effettivo, contro un minore o più minori, che possa provocare morte, lesioni e altre forme di sofferenza fisica e psicologica". Dalle definizioni si passa alla misurazione, ma non è un processo facile: cosa bisogna guardare per capire se c’è stata violenza? Quali sono le sue forme, online e offline? Come riconoscerle? E quali caratteristiche devono avere i dati per diventare indicatori? Il progetto è partito da qui: da un lavoro definitorio che, come ha spiegato Claudia Villante di Istat, “non è stato lineare ma circolare”, perché “l’analisi delle fonti disponibili ha aiutato a ridefinire i concetti di partenza”. Il passo successivo è stato provare a considerare il minore come “unità di rilevazione”, e quindi come soggetto attivo, non solo oggetto di racconto. Si tratta però di una popolazione vulnerabile, fragile, difficile da raggiungere e da analizzare, perché molti minori non sanno nemmeno di essere vittime. E chi li circonda spesso non sa o non vuole vedere. Per questo il lavoro è stato accompagnato da focus group con operatori, ONG e chi lavora quotidianamente con bambini e bambine. L’obiettivo era individuare anche le forme meno visibili di violenza: quella che si manifesta nei social network, nelle cure patologiche, o nelle interazioni familiari che non lasciano segni. Il progetto ha identificato otto domini principali per osservare la violenza e raccogliere quindi i dati disponibili, anche attraverso fonti che prevedono questo tipo di rilevazione: violenza fisica, psicologica, sessuale, neglect , tratta e sfruttamento, matrimonio precoce, mutilazioni genitali femminili e omicidio. A ciascuno sono stati associati indicatori “core” e “auspicabili” , con attenzione alla disaggregazione per genere, cittadinanza, età, disabilità, autore e contesto. Ma dove sono i dati disponibili? Le fonti consultabili al momento sono molto diverse tra loro. Alcune indagini sulla violenza avviate dall'Istat comprendono domande “retroattive”, che chiedono cioè agli adulti intervistati se hanno subito violenza quando minorenni. E ci sono invece indagini relative all’infanzia che invece non includono moduli sulla violenza, mentre le indagini internazionali spesso coprono solo una parte del fenomeno. Al convegno è stato sottolineato che manca una consapevolezza sulle diverse forme che può assumere la violenza e quali sono reali conseguenze sulla psiche dei bambini. Le statistiche amministrative, cioè i dati che si possono chiedere a ospedali, ai tribunali e ai servizi sociali, riguardano solo ciò che emerge dalle denunce e dai ricoveri, mentre le violenze che avvengono in famiglia restano molto spesso nascoste. Allora, molte informazioni derivano da fonti indirette. “Ringraziando l’elevata sensibilità sviluppata negli ultimi anni sulla violenza contro le donne”, ha osservato Giancarlo Ragozini, docente di statistica sociale all’università di Napoli, “abbiamo potuto utilizzare alcune di queste fonti per stimare la violenza contro i minori”. È infatti attraverso le testimonianze delle madri che emergono molti dati: senza le indagini sulla violenza di genere, il fenomeno minorile resterebbe quasi completamente invisibile. Cosa dicono i dati disponibili Incrociando i dati del 1522 e dell’indagine sulla sicurezza delle donne, si stima che tra il 2013 e il 2016 oltre 5 milioni di minori abbiano assistito ad almeno un episodio di violenza domestica. Di questi, almeno 1 milione l’avrebbe subita direttamente. Ma l’82% delle donne che si rivolgono al 1522 non presenta denuncia. E nei casi in cui è presente un figlio, la probabilità di non denunciare aumenta. Il sommerso, quindi, è concentrato proprio dove vivono i minori, e questo viene confermato dalla testimonianza di Raffaella Milano, di Save the children, per cui è particolarmente importante insistere sul tema della consapevolezza, oltre che sulle definizioni: “Abbiamo donne che denunciano il marito violento quando iniziano il percorso in un cav ma dicono ‘è un ottimo padre, non ha mai toccato i figli’, senza considerare invece il peso della violenza assistita e l’impatto sulla vita dei minori”. Un altra fonte è l'indagine Istat sulla sicurezza dei cittadini , per cui il 4,8% dei giovani tra 14 e 17 anni ha subito almeno un'aggressione fisica negli ultimi tre anni, con gli "schiaffi" che rappresentano la forma più comune di violenza. Il fenomeno della violenza psicologica appare ancora più diffuso: l'indagine Istat "Bambini e ragazzi" rivela che il 50% degli adolescenti ha ricevuto almeno un'offesa in presenza nell'ultimo anno, mentre il 23,5% ha subito offese online. Particolarmente allarmante è il dato sulla violenza assistita: secondo l’ultima indagine AGIA-CISMAI con Terre des Hommes, il 34% dei bambini in carico ai servizi sociali è vittima di violenza assistita, ovvero ha assistito a episodi di violenza in ambito familiare. Nello stesso report si legge che il 12% dei minorenni è invece vittima di maltrattamento psicologico, mentre il maltrattamento fisico è registrato nell’11% dei casi e l’abuso sessuale nel 2%. E poi c’è la trascuratezza , una delle forme di maltrattamento più difficili da rilevare e quantificare perché i dati ospedalieri includono la categoria "sospetto abuso" nelle schede di dimissione, ma non distinguono specificamente la trascuratezza dalle altre forme di maltrattamento. Nonostante questa difficoltà di rilevazione, i numeri disponibili sono significativi: secondo Telefono Azzurro, il 14% delle chiamate del 2022 riguarda patologie delle cure, e il report di Cismai conferma la gravità del fenomeno, segnalando che il 37% dei minori seguiti dai servizi sociali è vittima di neglect, la prima causa rilevata tra i maltrattamenti. Se guardiamo alla violenza sessuale, per Claudia Villante di Istat le statistiche ufficiali ne sottostimano la portata: i dati ospedalieri registrano soltanto 62 ricoveri per stupro in cinque anni, pari al 3,2% dei minori ricoverati. Invece, i dati dei centri antiviolenza e della linea 1522 raccontano che molte delle ragazze minorenni hanno come forma principale di violenza subita e denunciata la forma sessuale: 477 sono le minorenni che hanno iniziato un percorso, su 26 mila donne, denunciando 161 casi di stupro o tentato stupro e 133 forme di abuso sessuale, dove gli sconosciuti erano gli autori nel 21% dei casi. Circa l’1,4% di chi ha chiamato il 1522 era minorenne, e il 30% segnala abusi sessuali di cui solo il 14% perpetrati da sconosciuti. Nel 2023 sono anche aumentate le denunce per violenza sessuale digitale: il numero delle vittime resta stabile, anche perché resta difficile individuarle, mentre cresce quello degli autori, spesso minorenni a loro volta, e nel 95% dei casi si tratta di persone di sesso maschile. Non mancano, nella mappatura, anche i dati sulle mutilazioni genitali femminili. Una ricerca coordinata da Patrizia Farina, docente di demografia all’università di Milano Bicocca, ha prodotto una stima delle bambine e giovani donne a rischio di mutilazioni genitali in Italia, a partire da dati internazionali e demografici. Sono circa 80000-88000 le donne sopra i 15 anni residenti in Italia che hanno subito mutilazioni genitali, la maggior parte nate all’estero. E incluse nella stima ci sono 4300 minori e giovani adulte . Cosa serve per avere dati efficaci Per capire e analizzare meglio la violenza sui bambini, così come la violenza di genere, servono dati disaggregati su gruppi a rischio specifico: più volte è stata citata la necessità di avere informazioni su minori con disabilità, minori migranti non accompagnati e vittime in condizione di vulnerabilità multipla. E poi, diversificare le fonti, includendo anche i bilanci di salute pediatrica, ma anche sfruttare i big data delle piattaforme online, analizzando commenti e contenuti per individuare pattern comportamentali e linguaggi abusivi.

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