Espatri quadruplicati in 15 anni. L’Italia è di nuovo un Paese di emigranti?

Sono sempre di più gli italiani che abbandonano lo Stivale e si trasferiscono all’estero. Lo leggiamo sui media. Ma soprattutto lo vediamo nelle statistiche dell’Istat. Nel 2024 il loro numero è stato il più alto registrato dall’inizio degli anni ‘70: oltre 155 mila cittadini tricolori che si sono cancellati dall’anagrafe, hanno salutato la terra natale per andare a risiedere fuori dai confini nazionali. Un record nella storia recente del Paese. E non basta. A colpire, del fenomeno, è anche e soprattutto l’andamento. Il dato del 2024 non è infatti un’eccezione, semmai la punta finale di una tendenza iniziata quindici anni fa e che da allora, a parte il periodo della pandemia, ha visto gli espatri aumentare in modo pressoché costante. Nel 2010, anno a cui possiamo far risalire il punto di partenza del trend, furono poco più di 39 mila gli italiani che presero e salutarono: questo vuol dire che in poco meno di tre lustri il contingente di coloro che hanno detto addio al Belpaese è pressoché quadruplicato. Se non visualizzi il grafico clicca qui Che cosa sta succedendo? Per provare a capire meglio, lo abbiamo chiesto a Corrado Bonifazi, ricercatore presso l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR. Dal 2010 al 2024 gli italiani che hanno lasciato il Paese sono quadruplicati, secondo i dati Istat. Che cosa accade: l’Italia è tornata a essere un Paese di emigranti? Siamo un Paese che funziona meno bene dei suoi partner Ue, che non ama particolarmente i giovani, in cui i salari sono più bassi rispetto a quelli dei vicini. E, soprattutto, siamo un Paese che si trova in un’area di libera circolazione delle persone per cui spostarsi in un altro Stato non è così complicato. Il risultato è che, nonostante le recenti tendenze positive dell’occupazione, anche quella giovanile, siamo arrivati a 155 mila partenze, un numero abbastanza impressionante. Se si osserva l’andamento dei dati si nota l’inizio dell’incremento degli italiani che lasciano il Paese nel 2010. C’è una ragione? L’emigrazione comincia a salire a partire dal 2011, in seguito alla crisi del debito sovrano che ha colpito soprattutto i governi dell’Europa meridionale. In quel periodo si inizia ad assistere a un fenomeno di emigrazione, soprattutto verso i Paesi del Nord Europa, che ricorda un po’ gli anni ‘50. Un fenomeno che continua… La ripresa dell’emigrazione nel 2011 è in fondo comprensibile in considerazione della crisi economica dell’epoca. Ciò che è più preoccupante è il fatto che la tendenza prosegua, anzi aumenti in questi ultimi anni, in una situazione in cui l’Italia cresce, anche se poco, e in cui l’occupazione migliora. Evidentemente c’è un ritardo più generale del nostro Paese rispetto ai suoi vicini che va oltre la congiuntura economica. Penso, per esempio, ai salari reali, che sono fermi quando non in diminuzione, e alle difficoltà oggettive che i giovani incontrano qui e pensano di non dover affrontare altrove. Se non visualizzi il grafico clicca qui Chi è che emigra oggi? Si può tracciare un profilo? Quando si parla del fenomeno della nuova emigrazione ci si concentra spesso sulle competenze più elevate, i laureati quando non i ricercatori. Si tratta di certo di una parte importante ma non esaurisce la questione. In questi flussi ci sono anche persone con un livello di istruzione medio e basso che pensano di poter trovare altrove opportunità che qui non vedono. È un fenomeno che attraversa tutti gli strati della popolazione. Un’importante differenza rispetto al passato è anche geografica. Una volta l’emigrazione italiana all'estero proveniva soprattutto dal Mezzogiorno, oggi sono soprattutto residenti nel centro nord Italia ad andarsene, persone geograficamente e lavorativamente più vicine ai mercati del nord Europa. È un cambiamento importante rispetto al secolo scorso. In una sua ricerca parla anche del ruolo degli italiani di seconda generazione… Un altro aspetto interessante del nuovo fenomeno migratorio italiano è che tra coloro che se ne vanno c’è una quota consistente e crescente di italiani di seconda generazione. Tra questi c’è una propensione a emigrare più alta che nel resto della popolazione, sia perché vengono da contesti in cui l’emigrazione è presente nella storia familiare sia perché possono avere un interesse più diretto a ricongiungersi ad altri membri della famiglia residenti altrove. Questo fatto, se vogliamo, dimostra un’altra debolezza italiana: finiamo per perdere anche persone che si sono inserite e integrate. Se non visualizzi il grafico clicca qui Guardando i dati sembra che negli ultimi anni ci sia un aumento degli emigrati italiani della fascia 18-39 anni. Che spiegazione possiamo dare di questa tendenza? Va detto che questa fascia, per ragioni abbastanza comprensibili, è tradizionalmente quella da cui proviene il maggior numero degli emigrati. Ciò che vediamo però è che il peso di questo segmento demografico è in aumento: da poco più del 50% nel 2010 fino a quasi il 60% nel 2024. Fra l’altro, l’incremento, sia in termini assoluti che relativi, avviene in un momento in cui questa fascia anagrafica di popolazione in Italia si riduce: in 14 anni si è assottigliata di circa 3 milioni. E la ragione? Come dicevamo prima, ormai siamo in presenza di un’emigrazione che è molto più “economica” e legata a motivi di lavoro. Le persone della fascia 18-39 hanno generalmente più motivazioni di carriera e più energie per affrontare il trasferimento in un altro Paese. Fino al 2011 una quota significativa di espatri rifletteva ancora i rapporti con collettività italiane all’estero, soprattutto in Europa. Queste comunità mantenevano relazioni con l'Italia che poi sfociavano in emigrazioni e immigrazioni. Dopo la crisi del 2010, l’emigrazione è sempre più legata all’aspetto lavorativo, prescindendo da rapporti di parentela. E questo spiega probabilmente l’aumento del peso di questa fascia demografica nel contingente di coloro che lasciano l’Italia.

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