Zen, tra degrado e voglia di riscatto dopo la strage di Monreale

Il reo confesso della strage di Monreale, Salvatore Calvaruso, viene dal popolare quartiere dello Zen 2 di Palermo. È nato e cresciuto tra le strade di questo rione dormitorio dove ciò che per molti è un diritto qui diventa un privilegio. L’acqua corrente, le fogne allacciate alla rete, i contatori dell’energia elettrica. E la lista potrebbe continuare ancora. Un quartiere dove manca tutto e dove le istituzioni sono spesso un miraggio. Girando per le vie del quartiere si vedono solo immondizia e degrado. Pochissimi i luoghi di aggregazione per i ragazzi che, anche per questo, passano il loro tempo per strada. E dove diventano pedine che rischiano di finire in mano alla microcriminalità o, peggio, alla criminalità organizzata. Spaccio di droga, furti, facile accesso alle armi come dimostrato dal triplice omicidio di Monreale. A cercare di arginare questo degrado ci sono le associazioni di volontariato come il “Laboratorio Zen Insieme” che ha come obiettivo quello di supportare i ragazzi nella loro crescita umana e culturale e dare supporto alle famiglie. Tanti i servizi che, gratuitamente, vengono messi a disposizione delle famiglie come il doposcuola, la biblioteca, i lavoratori creativi e l’assistenza, anche sanitaria. Sono stati attivati i presidi clinici dove medici volontari prestano la loro opera per chi ne avesse bisogno. All’interno dello Zen, in collaborazione con i volontari, c’è anche Save The Children. “Fare rete è l’unico modo che questo quartiere di poter andare avanti – dice Fabrizio Arena, presidente del Laboratorio Zen Insieme -. Noi arriviamo dove le istituzioni. Purtroppo, non arrivano. Questo quartiere, come tanti altri della periferia di Palermo, è abbandonato a sé stesso. Dello Zen spesso si ricordano solo quando ci sono in corso le campagne elettorali. Poi non si vede più nessuno. La risposta dello Stato e delle istituzioni si avverte solo quando accadono fatti terribili come quello di Monreale. La risposta muscolare – aggiunge Arena – serve, è giusta. Ma non può e non deve essere l’unica risposta. Serve una programmazione a lungo termine”. Una programmazione a lungo termine che, però, non c’è e di cui, purtroppo, nemmeno si parla. “Per evitare che i ragazzi finiscano nella rete della criminalità – dice ancora Arena – il lavoro deve iniziare immediatamente. Da quando sono bambini. E forse, tra dieci anni, le cose saranno diverse. Ma ci vuole molto tempo e tantissimo impegno”. L’enorme diffusione di armi e la facilità di reperirle diventano un ostacolo quasi insormontabile per chi cerca di educare una intera generazione. “In questo quartiere, così come in tutti quelli di periferia – aggiunge Arena – è semplice reperire un’arma. Ma non solo attraverso i canali del mercato nero locale, ma anche attraverso il deep web dove ormai, e me lo dicono gli stessi ragazzi, si trova di tutto”. Una volta che, in tasca, si ha una pistola tutto diventa più complicato. Perché nella terribile vicenda di Monreale c’è un dato su tutti che dovrebbe farci riflettere. Ovvero che un ragazzino di 19 anni, sabato sera, esce da casa con un revolver in tasca. Attraversa tutta la città in scooter fino a raggiungere Monreale dimostrando di non aver paura dei controlli delle forze dell’ordine con una spavalderia talmente elevata che dovrebbe far riflettere ognuno di noi. Nuova “gioventù bruciata” dalla mancata educazione al rispetto delle regole. Spesso “vittime” dell’assenza genitoriale. Se a tutto questo si somma l’assenza delle istituzioni, il risultato è quello che è accaduto a Monreale e che potrebbe accadere, di nuovo, ovunque. Ma il quartiere è fatto soprattutto di famiglie perbene, “gente che si alza all’alba per andare a lavorare – conclude Fabrizio Arena del Laboratorio Zen Insieme – che cerca di dare un futuro ai propri figli con quel poco che ha a disposizione e che non merita di essere etichettata come purtroppo troppo spesso accade”.

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