Fine vita, la storia di Vittorio e Sibilla

A pochi passi da Piazza San Pietro incontriamo Vittorio Parpaglioni. Un ragazzo di 27 anni sorridente, vispo, attento. Ci accoglie nella casa dove viveva con sua madre, Sibilla Barbieri. Una casa piena di ricordi. Dai film alle foto di famiglia. Una casa luminosa e accogliente. Vittorio lavora nel cinema, come sua madre. Con lei Vittorio ha vissuto il progredire della sua malattia, un tumore in fase terminale. Con lei Vittorio ha trascorso fino all’ultimo momento, quando a ottobre 2023 sono andati insieme in Svizzera. Vittorio ha accompagnato sua madre ad accedere al suicidio assistito. Pratica che, in Italia, nonostante una prima apertura, le era stata negata. Vittorio racconta la sua storia da cosiddetto “caregiver”, ma soprattutto da figlio e fratello, nella quarta puntata di Cose di Oggi - Il fine vita. Vittorio ha 25 anni quando, nel 2023, accompagna sua madre, Sibilla Barbieri, in Svizzera per accedere al suicidio assistito. Il tumore aveva già abitato il corpo di sua madre. Poi la pausa. Per tornare più forte di prima, terminale, non lasciando speranze ma solo dolore. E la sua decisione: accedere al suicidio assistito. Inizia così l’iter previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. La richiesta alla Asl di competenza, gli incontri del comitato etico e di quello tecnico. Ma poi arriva il diniego. A bloccare la domanda di Sibilla Barbieri è, di fatto, il quarto requisito previsto dalla Consulta, quello che prevede che un malato sia tenuto in vita dai cosiddetti “trattamenti di sostegno vitale”. Un concetto ampio e allo stesso tempo complesso e che in molti casi è proprio quello che impedisce di poter accedere alle pratiche di suicidio assistito nel nostro Paese, come nel caso di Sibilla. Un concetto intorno al quale si continua a dibattere, tanto che la Corte Costituzionale ha deciso di intervenire nel 2024 - cinque anni dopo la sentenza cardine su cui si basa il suicidio assistito - per estendere ed esplicitare la definizione di “trattamenti di sostegno vitale”. Per la Consulta, ad esempio, nel quarto requisito sono incluse anche «le procedure» che «possono essere apprese anche da familiari o “caregivers” che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo». Un tassello in più nella cornice disegnata dalla Corte Costituzionale per legittimare questa pratica nel nostro Paese. Cornice nella quale, però, la discrezionalità tende ancora a emergere, in tutte le sue forme. Vittorio racconta le difficoltà di trovarsi di fronte al diniego e quel piano “B” che sua madre aveva preparato: andare in Svizzera dove, una volta ottenuta la cosiddetta “luce verde” in seguito ai controlli medici del caso, si può accedere al suicidio assistito seguendo procedure più snelle. Vittorio e sua madre si affidano a Dignitas, l’associazione che in Svizzera permette anche ai cittadini stranieri di accedere alle pratiche di suicidio assistito. Pagano la quota necessaria, che supera i 10.000 euro e decidono, sfogliando un catalogo, quale sia la stanza in cui prendere il farmaco, l’ultimo luogo che si vedrà. Luoghi curati e ospitali, racconta Vittorio, ma comunque “sconosciuti”, come sottolinea raccontando quei momenti. Sì perché, a differenza dei cittadini svizzeri, chi arriva in Svizzera dall’estero per accedere alle pratiche di fine vita, deve seguire un iter leggermente diverso, stando nelle strutture abilitate e seguito dall’équipe medica di riferimento, prima di autosomministrarsi il farmaco. Vittorio racconta quegli ultimi istanti, dolorosi ma allo stesso tempo pieni di vita. Istanti fatti di sguardi e di silenzio. Poi il viaggio di ritorno dalla Svizzera, l’inizio di quel processo che Vittorio definisce come “l’attraversare il lutto”, con il suo vuoto da vivere fino in fondo, il dover provare a “essere senza quella persona”. Un processo per il quale, racconta, si era preparato parlando con sua madre quando era in vita, preparandosi con lei alla sua scomparsa. Tornato in Italia, Vittorio si autodenuncia per avere accompagnato sua madre Sibilla in Svizzera. Rischia fino a dodici anni di carcere. Con lui, anche Marco Perduca e Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni. Vittorio ci racconta di come il suo impegno politico, da attivista, non si sia mai fermato in questi anni, dopo la morte di sua madre. Con la sua testimonianza, spera che le cose per altri “possano andare diversamente”, che ci sia una legge per essere liberi di poter scegliere e ricorda con queste parole, cosa abbia spinto sua madre a fare la sua scelta: “Il dolore è inconcepibile, una sensazione che io stesso ancora non ho capito. Riuscivo a vederlo, però, e mia madre me lo raccontava come qualcosa di tremendo, di atroce. Mia madre ha scelto, in quella condizione di malata terminale, di morire per mano sua. Quindi, piuttosto che vivere in quel modo dieci giorni in più ha preferito morire dieci giorni prima, soffrendo di meno”.

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