Andra e Tatiana Bucci, sorelle della Memoria

Tatiana e Andra Bucci avevano 6 e 4 anni quando vennero deportate ad Auschwitz Birkenau. “Noi italiane per caso” dicono all’unisono ricordando che la loro mamma, ebrea, era arrivata a Fiume con la sua famiglia in seguito ad un pogrom in terra ucraina. Pensavano che da lì, via mare, sarebbe stato più facile fuggire a vecchie e nuove persecuzioni. Le due sorelle si assomigliavano tantissimo e vennero scambiate probabilmente per gemelle. Insieme al cugino Sergio Simone, finirono nella baracca dei bambini. Cavie umane per gli esperimenti di Josef Mengele. Si salvarono, da sole, grazie ad una kapò. “Verranno degli uomini - disse una guardia- vi diranno: chi vuole vedere la mamma e tornare con lei faccia un passo avanti. Voi dovete rimanere ferme”. Ascoltarono quel consiglio, contro natura, e si salvarono. Così non fu per Sergio. Le bambine lo misero in guardia, ma fu tradito dalla più terribile delle bugie. A 8 anni dopo aver prestato il suo corpo agli esperimenti “medici” venne ucciso, nei sotterranei di una scuola di Amburgo. Sua madre non voleva credere che fosse morto e, per molti anni, ha sperato di poterlo rincontrare. Fino al 1983, quando la storia di Sergio e degli altri 19 bambini venne resa nota grazie al lavoro del giornalista tedesco Gunther Schwarberg. La madre di Andra e Tatiana invece fu certamente più fortunata. Grazie ad una foto, dopo la fine della guerra, ritrovò le sue bambine in Inghilterra. Non si erano dimenticate i loro nomi. "Quando poteva venire a trovarci nel campo. Sempre ci ricordava come ci chiamassimo“, racconta Tatiana. È stata una delle cose che ci sono servite veramente per ricongiungerci ai nostri genitori. Oggi vorrei tanto dirle grazie”. “Io vorrei abbracciala”, dice invece Andra, “la mamma era cambiata molto con la guerra, non ricordo un suo abbraccio, ma non gliene faccio una colpa, assolutamente”. Andra e Tatiana Bucci vivono oggi all’estero. Andra negli Stati Uniti, Tatiana in Belgio. Ogni anno, tornano in Italia, partecipano a conferenze, tengono viva la loro e la nostra memoria. Spesso incontrano i ragazzi. Non si tirano mai indietro davanti all’urgenza della testimonianza. Dove trovate la forza emotiva di ripetere la vostra storia? Risponde Tatiana: “Perché è giusto sapere. Non va dimenticato quello che è stato, purtroppo le cose si ripetono, magari in un altro modo. Quello che ci succede intorno però è altrettanto crudele. Ci sono troppi bambini che ancora muoiono, come Sergio. Si vede che il mondo ha bisogno di guerre, ha bisogno di altri morti. Tatiana se chiude gli occhi rivede ancora quei camini che sputavano fiamme e fumo. Andra dice che per lei la Liberazione ha il sapore di una fetta di salame che un soldato russo le regalò quando arrivarono nel campo. Parlano, con dolore, di rigurgito antisemita. “Non siamo pronti ad accettare un altro che sia diverso da noi. Per il colore della pelle. Per una diversa religione o per quello che si vuole“, ripete Tatiana. Eppure, in loro, c’è ancora spazio per la speranza. È Andra a parlare: ”Io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Sono sicura che l’umanità sia in fondo buona. Vorrei vedere, dico sempre, prima di andare in giardino un bel cambiamento. La fine di tutte le guerre. La pace insomma. Quella che abbiamo avuto per tanti anni, anche grazie all’ Europa”.

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