L'eredità di Oliviero Toscani

Nicolas Ballario è critico d’arte, giornalista e conduttore di Sky Arte. Ha iniziato la sua carriera lavorando nella factory di Oliviero Toscani, a cui nel 2022 dedicò una celebrata mostra a Milano, la più grande mai dedicata al famoso fotografo scomparso il 13 gennaio. In questa intervista Ballario ricorda la figura di Oliviero Toscani, la sua importanza per la storia della fotografia e la portata, anche in termini sociali e politici, dei suoi scatti. Che cosa ha significato lavorare con Oliviero Toscani? Mi ha preso con lui che avevo 22 anni e mi ha veramente insegnato tutto. Quella del suo studio, la Sterpaia, come si chiamava la factory, è stata una scuola totale. Oliviero mi ha insegnato innanzitutto un approccio orizzontale al mondo del lavoro. Mentre crescevo tutti quanti mi dicevano: devi concentrarti su una cosa sola e fare bene quella. Bene, arrivo da lui e mi dice: questa roba te la devi dimenticare perché qui tutti fanno tutto. E lì io ho fatto davvero tutto, dal concepire le campagne fino quasi a spazzare a terra. È stato meraviglioso. Parlano di un carattere difficile, comunque. Ed è vero. Era un uomo che sapeva essere molto molto rude e capace di arrabbiature epiche. Però era anche generosissimo. Se io oggi faccio questo lavoro lo devo a lui. Generalmente la gente è colpita dall'originalità dei suoi scatti, che hanno indubbiamente la capacità di rimanere nella memoria, ma io posso dire che era una persona davvero speciale. Chiedo al critico, adesso. Che cosa ha rappresentato l’apporto di Oliviero Toscani nella parabola della storia della fotografia? A Oliviero non importava più di tanto della macchina fotografica e degli aspetti tecnici. Anzi, potrei proprio dire che non gliene fregava niente. Lui diceva che quando prendeva in mano la macchina in realtà la foto l'aveva già fatta prima. Fotografava con gli occhi. La macchina semplicemente gli serviva per ritagliare quello che aveva già visto. Però è stato un rivoluzionario nel mondo della fotografia, in primis nella moda. Quando lui ha iniziato a fare questo mestiere, a cavallo fra la fine degli Anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, la fotografia di moda era decisamente ingessata. Pensando fosse molto sexy, mettevano le modelle con il polso poggiato sulla fronte, non ridevano mai. Oliviero le definiva le foto col mal di testa. Lui no. Ha portato il sorriso e gli atteggiamenti di tutti i giorni. È grazie a questa intuizione che Toscani è esploso. Ha disinnescato un meccanismo portando con successo le scene della vita quotidiana sulle copertine dei giornali internazionali. E lo stesso ha fatto scegliendo ragazze tutt’altro che perfette secondo i canoni di bellezza dell'epoca. Come mai era così affascinato dai mass media? Aveva grandi capacità tattiche, secondo me, perciò gli interessava la comunicazione di massa. Prendi noi due: tu lavori in tv e io scrivo sui giornali. Abbiamo un mezzo di riferimento. Lui no. Non gli bastava un mezzo. Avere la sua fotografia sulla copertina del giornale di moda era poco. Gli serviva qualcosa di più, perciò è arrivato alla pubblicità. Lì il messaggio non solo puoi forgiarlo da cima a fondo ma se sei bravo puoi farlo apparire in contemporanea in tutti i giornali più letti del mondo e, sui cartelloni, in tutte le strade più affollate del mondo. Una sensibilità molto pop, si direbbe. Esatto. Gli interessava proprio il sistema. Oliviero usava la pubblicità e i mass-media come un taxi. Ci saliva sopra con il messaggio che gli interessava portare, e che guarda caso era sempre fortemente politico, e il taxi della cultura popolare lo portava in giro per il mondo. Non è alla fine, questo, un po' lo scopo dell'arte? Assolutamente. L'arte è la più alta forma di comunicazione del possibile e lui in questo senso è stato veramente un grandissimo artista, un gigante. Che però non amava essere messo in mostra. Lo detestava. Mi diceva sempre: ti farò fare una mostra su di me solo quando sarò morto. Del resto, attaccare le foto al muro con il chiodo e incorniciarle quando hai la possibilità di averle giganti a Times Square… Come hai fatto allora a convincerlo a fare la famosa mostra del 2022 a Milano per i suoi 80 anni? Infatti non voleva. L’ho convinto con un ricatto morale. Per il suo 80º compleanno, il 28 febbraio del 2022, grazie anche al Comune di Milano, abbiamo prima tappezzato la città di sue foto e poi, con una scusa, lo abbiamo convinto a venire dalla Toscana. Era all’oscuro di tutto. La mattina presto abbiamo preso un grande autobus, anche questo ricoperto di sue foto, a bordo tutti i suoi amici e le persone con cui aveva lavorato, e lo abbiamo portato in giro. Era proprio come piaceva a lui: le sue opere per strada. Si è commosso e alla fine mi ha detto di sì. È stato un lavoraccio però, anche perché, ovviamente, trattandosi di lui, voleva decidere tutto da solo. Che cosa resterà di Oliviero Toscani? L’impegno innanzitutto. L’intuizione che con le immagini puoi fare politica ben oltre i partiti. Io penso che il suo il più grande contributo sia stato quello d’aver capito prima di tutti gli altri che con le foto si può suscitare dibattito. E così è stato, indubbiamente. Penso alla grande immagine della ragazza anoressica del 2007. Lui la fece uscire proprio durante la settimana della moda e proprio a Milano. Fu una specie di spallata a tutto quel mondo con cui, fra l’altro, aveva tanto lavorato. L’intero sistema fu costretto a interrogarsi sui canoni di bellezza. Questo era lui. Era un uomo incredibilmente intuitivo e incredibilmente intelligente, sapeva annusare il futuro e te lo metteva lì davanti agli occhi. Con una fotografia.

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