2025, anno di riunificazione per i giganti Mont'e Prama

È una storia tanto tormentata quanto misteriosa quella che stiamo per raccontarvi. È la storia di un popolo di pietra che guarda verso il mare, rimasto sepolto per millenni e riscoperto solo a partire dal 1974. E se è vero che la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, in questo caso la si fa con ampio uso di condizionali e di “forse”, perché quella dei Giganti di Mont’e Prama è una storia tuttora emersa solo in parte. La storia delle statue più antiche mai ritrovate nel Mediterraneo, risalenti al IX-XIII secolo A.C. : statue di arcieri, guerrieri, pugilatori alte tra 1 metro e 85 e i 2 metri. Un aratro, gli “outsider”, il Sinis: dove e come sono stati scoperti Il territorio è quello del Sinis, nell’oristanese, a pochi chilometri dalla laguna di Cabras da una parte e pochi chilometri dal mare sardo dall’altra, dove alcune tra le più belle spiagge della Sardegna come Mari Ermi e Is Arutas d’estate sono prese d’assalto da turisti spesso inconsapevoli di trovarsi in un territorio ricco di storia e cultura. Sebbene siano in molti a rivendicare di avere avuto il privilegio della prima scoperta, sembra ormai accertato che i primi rinvenimenti furono, nella primavera del 1974, ad opera di due agricoltori che - arando il loro terreno sulla collina di Mont’e Prama - notarono delle pietre scolpite. Tra i due, spicca il nome di Sisinnio Poddi, che, nel 2008, darà il proprio nome a uno dei “pugilatori” meglio conservati di Mont’e Prama, detto appunto “Sisinnio”. Scrive Antonio Rojch nella pagina della cultura della Nuova Sardegna domenica 31 marzo 1974: "Nuove importanti scoperte archeologiche nella penisola del Sinis. Sono tutti di roccia tenera e bianca gli importanti reperti che la Soprintendenza alle Antichità di Cagliari ha posto al sicuro nei Magazzini del Museo Nazionale di Cagliari….Senza l’aratro del contadino, nulla avrebbe lasciato intravedere l’importanza della località. Si tratta di un probabile tempio punico con colonne fittili e lignee, capitelli, grossi blocchi squadrati di arenaria e i resti di un lastricato realizzato con blocchi di basalto scalpellato. Solo uno scavo potrà chiarire la forma del monumento". Sebbene nell’articolo del quotidiano sassarese si facesse riferimento a un “probabile tempio punico”, studi successivi, a partire da quelli del padre dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu, rivelarono l’origine nuragica del sito. Ed è lo stesso Lilliu a esaltare, nel 1977, il ruolo del contadino nella casuale scoperta: “Il contadino che, nel marzo del 1974, arando ha smosso e sollevato dal terreno della Penisola del Sinis di Cabras una serie di statue di arenaria gessosa con cippi, colonne, capitelli, lastroni, conci ed altre modanature di arenaria, e Giuseppe Atzori che ha dato subito notizia del rinvenimento alla stampa, sono i personaggi dai quali è stato reso all’archeologia ufficiale 'disarmata' il più straordinario e utile servizio che, da tempo, non offriva il contributo popolare degli 'outsider'”. Da quel momento e per gli anni a seguire, più campagne di scavo hanno riportato alla luce i resti di una necropoli in uso per alcuni secoli; un’area che ha evidenziato tre diverse fasi di utilizzo a cui corrispondono tre tipi di tombe, con una progressiva ristrutturazione dell’area fatta di tombe singole “a pozzetto”, poco profonde, in cui il defunto era in posizione rannicchiata. È in quell’area che vengono recuperati i 5178 frammenti di pietra calcarea da cui emergeranno statue, modelli di nuraghe e betili. 5178 pezzi di un complesso e misterioso puzzle che sarebbe stato ricomposto nei trent’anni successivi, senza tuttavia chiuderlo definitivamente. Gli scavi e il restauro: il tormento dei Giganti smarriti nel tempio della burocrazia A raccontarci le tormentate vicende degli scavi e, in particolare, del restauro dei Giganti, è il professor Raimondo Zucca, archeologo che partecipò alla terza campagna di scavi, quella del 1979, guidata da Carlo Tronchetti, così come la seconda. Non solo, Zucca, autore di numerosi scritti sugli eroi sardi, può essere considerato a buon diritto uno dei padri del sito di Mont’e Prama. “La Sovrintendenza aveva iniziato a scavare solo 18 mesi dopo l’annuncio del ritrovamento celebrato dall’articolo del marzo 1974 della Nuova Sardegna. Per quell’anno, infatti, i finanziamenti per la ricerca archeologica erano già stati tutti impegnati. Il finanziamento fu quindi chiesto per l’anno successivo, quando – però – si dovette aspettare l’arrivo in Sardegna da Roma dell’Ispettore protostorico Alessandro Bedini, incaricato dello scavo dal Sovrintendente Ferruccio Barreca. Furono solo due le settimane in cui, nel dicembre del 1975, si poterono dedicare allo scavo, che rivelò una strada funeraria, tombe individuali a pozzetto e alcuni frammenti delle statue”. Scavi successivi avvengono in tempi più recenti, alcuni tra il 2014 e il 2016 e l’ultimo tra il 2018 e il 2022, campagne durante le quali vengono individuate nuove statue e nuove tombe. Ma il capitolo più sorprendente riguarda il restauro delle statue, iniziato solo 30 anni dopo le prime scoperte e su cui esiste quella che il professor Zucca definisce una “leggenda nera”, una fake news sopravvissuta nel tempo, quella secondo cui “la sovrintendenza avrebbe artatamente celato questo tesoro nei suoi sotterranei perché evidenziava una realtà diversa della storia dei sardi”. “Subito dopo il recupero di un gran numero di frammenti nella campagna di scavi tra il luglio e l’ottobre del 1979, a cui ebbi la fortuna di partecipare, – spiega Zucca – e avendone vista la grandiosità, furono richieste al Ministero dei Beni culturali e ambientali, risorse per poter effettuare il restauro, per effettuare il quale erano necessari spazi molto grandi che la Sovrintendenza non possedeva e che il Ministero non aiutò a individuare, offrendo cifre irrisorie rispetto al necessario. Le acque si smossero solo nel 2005, quando fu siglato un accordo di programma quadro tra Regione e Ministero in cui vennero stanziati 1 milione e 800mila euro”. Il restauro poté dunque iniziare nel laboratorio di Sassari Li Punti, dove arrivarono “5200 frammenti litici in calcare, che costituivano una distesa di circa 450 metri quadrati e un valore ponderale di oltre 10 tonnellate, per un volume dei singoli reperti molto vario da millimetri alle decine di centimetri” . Pezzi di teste, busti, braccia, gambe e scudi che sono stati pazientemente ricomposti dando vita a 26 possenti sculture. Nel 2014, alla ripresa degli scavi, sono stati ritrovati altri frammenti di modellini di nuraghi e di altre due statue, più grandi e con un’iconografia diversa. Una delle due è l’unica che ha conservato la testa attaccata al collo. I 28 colossi di pietra sono le uniche statue di pietra che il mondo nuragico ci ha restituito, nonché le più antiche del Mediterraneo, risalenti a tremila anni fa. Chi sono i Giganti Secondo alcune letture, le statue potrebbero essere rappresentazione di antichi eroi, chiamati a protezione dei defunti della necropoli. Ed è da lì che bisogna partire, dagli individui rinvenuti nelle tombe. Ci rivolgiamo per questi aspetti al professor Salvatore Rubino, ordinario di Microbiologia all’Università di Sassari, che dal 2014 ha guidato un team di studio bioarcheologico: “Abbiamo analizzato i resti delle ossa di 12 tombe a pozzetto della necropoli di Cabras. Quello che è risultato è che si trattava di maschi, tutti giovani , non legati da vincoli familiari, con un aplotipo ancora presente in Sardegna”. Ma come sono morte queste persone? “Non abbiamo indagini paleopatologiche che abbiano definito le ragioni della morte – sottolinea il professor Zucca. Se ci fosse stata un’epidemia, non si capisce perché l’accesso fosse riservato esclusivamente ai giovani adulti maschi. Possiamo altresì confermare che gli individui non appartengono a uno stesso gruppo familiare. Potremmo invece trovarci di fronte a un memoriale militare: guerrieri con la spada, guerrieri solo con l’arco e quelli che il professor Torelli ha chiamato “inermi”: non hanno le armi ma compiono dei ‘ludi sacri’ per dimostrare il loro valore militare e ottenere le armi. Le statue sarebbero quindi simboli dei defunti guerrieri”. Il ragionamento di Zucca prosegue: “Dobbiamo pensare che ci sono state due battaglie. Combattute da chi? Fenici e sardi? Gli eroi sardi sono stati eternati in questo memoriale? La damnatio memoriae Un altro mistero riguarda la distruzione delle statue, resa evidente – come si legge sul sito fondazionemonteprama.it dal fatto che “i frammenti sono stati ritrovati in condizioni caotiche: parti combacianti, per esempio, di una medesima scultura sono state rinvenute in punti relativamente distanti all’interno dell’accumulo e in condizioni di giacitura assai differenti”. Chi le ha distrutte? Ancora una volta ci viene in soccorso il professor Zucca secondo cui “il messaggio di Mont’e Prama è un messaggio memoriale talmente significativo da venire eliminato in un’evidente operazione di damnatio memoriae”, una condanna che potrebbe essere stata inflitta ai sardi dai fenici di Tharros sul finire del settimo secolo avanti Cristo. Vedere i giganti sognando la riunificazione Non bastasse la damnatio memoriae cui la storia ha condannato i Giganti, non bastassero le guerre combattute secoli fa, ci sono anche quelle condotte ai giorni nostri da chi ritiene di essere a buon diritto custode eterno del tesoro ritrovato 50 anni fa. Dove sono state collocate le statue a seguito del restauro? A Cabras, terra di nascita dei Giganti, o a Cagliari, capoluogo dell’Isola e vocato a maggior attrazione turistica? Un compromesso è stata la soluzione trovata: 11 sculture sono al Museo civico Giovanni Marongiu di Cabras, mentre le altre 33 sono esposte presso il Museo Nazionale di Cagliari. Una spartizione tutt’altro che pacifica e che, nel febbraio del 2021, ha visto il Sindaco di Cabras impedire l’accesso al Museo della Soprintendente che avrebbe dovuto da lì prelevare una serie di reperti, tra cui alcune statue, che dovevano essere restaurate quindi portate nei laboratori di Cagliari. Una decisione presa nel timore, del Sindaco così come dei cittadini di Cabras che da giorni protestavano, che alla fine si arrivasse allo “scippo” delle statue. Un conflitto alla cui pacificazione contribuisce dal luglio 2021 la Fondazione Mont’e Prama, costituita tra Ministero della Cultura, Regione Autonoma della Sardegna e Comune di Cabras. Il progetto è quello della riunificazione delle statue, cui forse si potrà assistere nel 2025, quando due nuove ale del Museo civico Giovanni Marongiu saranno completate, e tutti i Giganti torneranno a casa. La Fondazione e i Giganti nel mondo I Giganti di Mont’e Prama, come i nuraghi, sono diventati simboli della cultura nuragica e ambasciatori nel mondo dell'identità sarda, come dimostra il caso del pugilatore “Manneddu”, ospitato nel 2023 al Met di New York e poi al Man di Madrid, da dove riparte in queste ore per arrivare poi a Barcellona nel mese di Aprile. “Continueremo a investire nella ricerca, nella conservazione e nella valorizzazione di tutti i siti, con l’obiettivo di renderli un punto di riferimento per il turismo culturale in Sardegna” – dichiara il Presidente Anthony Muroni. “In questo contesto – dice ancora Muroni - si inseriscono la straordinaria collaborazione con la Fondazione Nivola per la mostra temporanea in corso e le esposizioni del MET di New York e quella del MAN di Madrid che volge al termine. Entrambe ci hanno dato la possibilità di far apprezzare uno dei Giganti in contesti internazionali di primissimo piano e di collaborare, dal punto di vista scientifico, con importantissime realtà museali”.

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