La strage prima delle stragi: l'attentato al treno rapido 904

La strage del Natale del 1984 è un evento tragico che è stato incredibilmente dimenticato dal nostro Paese. Alle 19.08 del 23 dicembre, un ordigno esplosivo piazzato all’interno della nona carrozza del treno rapido 904, che viaggiava tra Napoli e Milano, deflagrò subito dopo l’ingresso della grande galleria dell’Appennino. Il treno era pieno di persone che tornavano a casa o si spostavano verso il nord del Paese per raggiungere i parenti. Nello scompartimento squarciato dall’esplosione e arroventato dalle fiamme, persero la vita 16 persone e altre 260 rimasero ferite. La ricostruzione Secondo alcuni testimoni, la bomba fu piazzata da un uomo, mai identificato, che salì nella stazione di Santa Maria Novella e posizionò due pesanti borsoni scuri, sul portabagagli della carrozza. Secondo gli artificieri, l’ordigno fu attivato a distanza. Dopo un lampo di luce e un rumore sordo, l’onda d’urto mandò in frantumi i vetri di tutti i finestrini e una pioggia di schegge arroventate cominciarono a viaggiare impazzite in ogni direzione. Subito dopo si spensero le luci e il treno si bloccò in mezzo al tunnel. Nel freddo, nel buio e nel silenzio di quella galleria, si sentivano solo le grida dei feriti e di chi cercava di capire dove fossero i parenti e gli amici. I soccorritori raggiunsero con difficoltà il luogo della strage che ironia della sorte era lo stesso dove, dieci anni prima, c’era stato un altro attentato con le stesse terribili modalità. A morire quella volta erano stati 12 innocenti che erano a bordo del treno Italicus, che viaggiava sulla tratta Roma-Monaco di Baviera. L’attentato del 904 fu rivendicato subito da diversi gruppi della destra extraparlamentare. Una pista che inizialmente venne seguita dagli investigatori. Ma fu un errore, perché l’Italia del 1984 non era più il Paese nel mirino delle trame della cosiddetta strategia della tensione. Le bombe fasciste, gli scontri, le violenze e la lotta armata che caratterizzarono gli “anni di piombo” era terminate e avevano invece lasciato spazio e terreno alla rinascita di gruppi criminali e sovversivi, come la Banda della Magliana, che avevano iniziato una collaborazione con Cosa Nostra e la Camorra. Ma non solo. In Italia era comparsa anche la Loggia Massonica P2 di Licio Gelli, che poco dopo verrà accusata di trame sovversive atte a rovesciare l’ordine democratico del Paese. Ma per capire meglio il contesto nel quale avvenne la “strage di Natale” è importante anche ritornare al 15 luglio del 1984, quando venne estradato in Italia Tommaso Buscetta. L’ex boss della mafia siciliana aveva deciso di collaborare con la giustizia. Le sue rivelazioni ai magistrati furono il cardine per l’arresto di oltre 300 persone e per l’inizio del maxiprocesso nell’aula bunker di Palermo, che portò alla sbarra il gotha di Cosa Nostra. L’onorata società, colpita alle spalle da Buscetta, decise allora una inedita strategia di attacco. “Menti raffinatissime” pensarono a un attentato che potesse distogliere l’attenzione della magistratura dalla sua attività e lanciare un messaggio intimidatorio allo Stato. Pierluigi Vigna, un magistrato che nella sua carriera si era occupato anche di lotta alla Mafia, dopo una iniziale impasse delle indagini, si rese conto che quell’attentato non poteva avere una matrice politica. Dopo le “soffiate” arrivate da alcuni collaboratori di giustizia, individuò la mente dell’attentato in Pippo Calò, detto “il Papa”, un mafioso che aveva strettissimi legami con la criminalità organizzata campana e romana. Nel marzo del 1985 Vigna fece scattare una perquisizione nell’abitazione di Calò. Lì vennero ritrovati cavi e congegni elettrici che potevano essere stati utilizzati per assemblare una bomba. Il mafioso venne subito arrestato. E insieme a lui finirono in manette anche l’artificiere, il tedesco Friedrich Schaudinn e Guido Cercola, uno dei più stretti collaboratori del “Papa”. Le accuse nei confronti dei tre criminali vennero rafforzate e completate poco tempo dopo, con il ritrovamento, in un’altra proprietà di Calò, di due pani di esplosivo plastico Semtex, sei chili di tritolo e nove detonatori. Vigna però aveva anche capito che l’attentato al treno rapido 904 non poteva aver visto l’azione solo di tre persone. Fu così che proseguendo le indagini vennero individuate anche le connessioni con la camorra e la destra neofascista. Così furono arrestati anche il camorrista Giuseppe Misso e Massimo Abbatangelo, un consigliere comunale di Napoli eletto con il Movimento sociale italiano. Il processo Il quadro accusatorio ora era chiaro. La strage del Natale del 1984 era stata ideata da Cosa Nostra per “distogliere l’impegno della società civile dalla lotta contro la mafia e produrre effetti destabilizzanti sulla compagine statale e di blocco del Paese sulla via della democrazia”. Nel gennaio del 1986, Calò, Cercola, Misso, Abbatangelo e altre 6 persone vennero rinviate a giudizio. Tutti furono condannati all’ergastolo per i reati di strage, attentato per finalità terroristica ed eversiva, banda armata e fabbricazione e detenzione di esplosivi. Solo Abbatangelo inizialmente la fece franca perché nel frattempo era stato eletto alla Camera con il Movimento Sociale Italiano. Nel 1994, dopo il via libera del parlamento, il politico venne processato e poi condannato per detenzione di esplosivo. Il tedesco Schaudinn, l’artificiere della bomba che esplose sul rapido 904, fu condannato a 22 anni di carcere. Ma Schaudinn in prigione ci restò ben poco. Solo il tempo di stringere un accordo di collaborazione con le autorità giudiziarie italiane. Per questo motivo gli vennero concessi gli arresti domiciliari in un appartamento sul litorale romano. Da lì, grazie a un passaporto falso consegnatogli da un funzionario del consolato tedesco, fuggì rifugiandosi a Francoforte. La Germania, nonostante le gravi accuse che pendevano sull’artificiere, si rifiutò sempre di estradarlo in Italia. Nel 2014, fu aperto un nuovo processo per chiarire tutte le responsabilità dell’attentato. Tra gli accusati finì anche Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra. Nonostante i tanti processi e alcune rivelazioni postume, sulla strage del 23 dicembre del 1984 rimangono ancora molti misteri. Ad oggi non sappiamo chi azionò il telecomando che provocò la strage, né chi posizionò la bomba nella nona carrozza del treno. Una speranza di raggiungere la verità è arrivata però recentemente dalla Procura di Firenze. I magistrati Turco e Tescaroli hanno riaperto le indagini perché hanno capito che la bomba esplosa sul rapido 904 fu “la strage prima delle stragi”, l’apripista di quella stagione sanguinosa scatenata dalla mafia che culminò con gli attentati di Capaci e via D’Amelio. Un messaggio di morte che non venne pienamente compreso e che solo ora è arrivato chiaro in tutto il suo orrore.

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