Processo Open Arms: cosa rischia Matteo Salvini con la sentenza

Sei anni di reclusione. È questa la richiesta che i pm della procura di Palermo hanno fatto nei confronti del ministro dei trasporti Matteo Salvini, alla sbarra con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Il processo Open Arms è arrivato alla fine. I giudici del tribunale di Palermo entreranno in camere di consiglio. La vicenda risale all’agosto del 2019. A quell’epoca Salvini era ministro dell’Interno del governo giallo/verde guidato da Giuseppe Conte. Era il periodo dei “porti chiusi” alle navi delle ong che solcavano il Mediterraneo per salvare i migranti in difficoltà. Ong che sono state definite da Salvini stesso “trafficanti e taxi del mare per i clandestini”. La nave Open Arms dell’omonima organizzazione non governativa spagnola fondata da Oscar Kamps, in quell’agosto aveva tratto in salvo 147 persone in tre diverse operazioni di soccorso. Uomini, donne e tanti minori alcuni dei quali non accompagnati. La nave aveva fatto rotta verso il porto dell’isola di Lampedusa quello ritenuto dal comandante il più vicino e, soprattutto, il più sicuro. A poche miglia da Lampedusa però era arrivato l’alt da parte delle autorità italiane che, su ordine del ministro, vietavano l’ingresso nelle acque territoriali italiane e, di fatto, lo sbarco. Pochi giorni dopo, e su ordine del tribunale per i minori di Palermo, i bambini e i minori non accompagnati erano stati fatti sbarcare. Gli altri no. Per 19 giorni sono rimasti a bordo senza sapere quale sarebbe stato il loro destino. Alcuni avevano anche tentato di gettarsi in mare per provare a raggiungere a nuoto la costa. A bloccarli i membri dell’equipaggio. L’ok allo sbarco arrivò solo dopo l’ispezione a bordo da parte del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che constatò l’impossibilità di far rimanere ancora a bordo persone migranti ed equipaggio per ragioni psicofisiche e di igiene. Tre anni fa la prima udienza del processo a carico di Matteo Salvini, adesso arriva l’atto finale. Il ministro dei Trasporti è stato chiaro: anche in caso di condanna lui resterà al suo posto. Niente dimissioni o passi indietro. “Ho difeso i confini dell’Italia”, questa la frase più ricorrente pronunciata dal leader della lega durante le pause del processo durato più di 20 udienze. Sul banco dei testimoni sono passati in tanti: Giuseppe Conte, Matteo Piantedosi, Danilo Toninelli per citarne alcuni. Un processo “politico” lo ha sempre definito Matteo Salvini “messo su da magistrati di sinistra”. Un duro attacco quello del leader della Lega ai magistrati della procura di Palermo che reggono l’accusa nel processo e che, a causa delle minacce ricevute via social, si sono visti rafforzata la scorta. Insomma, un clima tutt’altro che sereno quello che si è respirato in questi tre anni di udienze e che, comunque vada la sentenza, di certo non si esaurirà del tutto alla lettura del dispositivo da parte del presidente della corte.

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