Il padre di Ramy: “Siamo italiani, l’Italia è il nostro primo Paese"

Ha gli occhi lucidi, increduli, come se ancora non avesse bene compreso quanto accduato. Ma Yehia Elgaml, 61 anni, di origini egiziane da 17 anni in Italia, è il capo famiglia e tocca a lui il compito di prendere le distanze dalle scene di disordini e violenze nel quartiere Corvetto a Milano, tocca a lui ricordare chi era suo figlio, chi era Ramy, il 19enne morto in un incidente stradale dopo un inseguimento dei carabinieri lungo otto chilometri per le vie di Milano. Era il più piccolo dei suoi quattro figli. “Sono senza il migliore dei miei figli, senza più cuore, Ramy era il pezzo più grande del mio cuore”. Sono le sue prime parole di Yehia Elgaml all’uscita dall’istituto di medicina legale della clinica Mangiagalli. Insieme alla moglie Farida, al figlio Tarek, alla fidanzata di Ramy Neda e ad altri parenti ha appena lasciato l’obitorio per il doloroso riconoscimento formale della salma prima che venga eseguita l’autopsia. Prova subito ad abbassare la tensione dopo giorni di rabbia e proteste. “Noi siamo chiusi in casa” – dice - “Non è il momento, non è il momento adesso. Quando potremo faremo il funerale e lo porteremo al cimitero, sarà seppellito in Italia. Al momento restiamo a casa e basta, non vogliamo tutto questo, non vogliamo violenza, vogliamo solo la verità per Ramy”. Vuole sapere la verità, capire cosa sia accaduto quella notte, il perché della fuga in motorino. Perché sono scappati secondo lei: “Non lo so, davvero non lo so, ho fiducia nella giustizia che posso dire la verità. Rispetto tutte le regole di questo Paese perché l’Italia è il nostro Paese, i miei figli vivono qui, mio figlio è morto qui, Ramy è arrivato in Italia all’età di otto anni, ha studiato qui, e voleva continuare a vivere qui. Questo Paese è il nostro Paese. Ramy non parlava bene l’arabo, ma parlava italiano al 100%”. Gli chiediamo l’ultimo ricordo che ha di Ramy, quando lo ha visto l’ultima volta. “Quando l’ho visto l’ultima volta l’ho salutato e gli ho chiesto di non tornare troppo tardi, dovevano festeggiare il compleanno di un amico mi aveva detto. Torno presto papà sono state le sue ultime parole. Due, tre ore e torno. Non è ancora tornato, non è più tornato, Ramy non torna più”. Nel quartiere hanno organizzato una fiaccolata per ricordare Ramy ma i familiari hanno deciso di non essere presenti per il timore di nuovi disordini. “Io ho mandato un messaggio per questi ragazzi che fanno casino – spiega il padre di Ramy - ho detto basta violenza, non va bene, Ramy non voleva questo, Ramy non vorrebbe questo, lasciate stare. Fermatevi. Adesso Ramy è un angelo, è con Dio. È pulito, profumato, vestito bene, vestito come uno grande. Era un ragazzo gentilissimo, tutti gli volevano bene, le maestre, dove lavorava. Io ho fiducia nei carabinieri, nella polizia italiana, nella polizia locale. Io rispetto la legge italiana, le regole. Le persone sono sempre state gentili con noi. Io sono arrivato in Italia tanti anni, ho scelto di venire qui perché nel mio Paese avevo paura per la mia famiglia. Qui ho sempre dormito tranquillo. L’Italia non è il secondo Paese per noi. È il primo Paese per me e la mia famiglia”.

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