Sulla via Francigena con il Parkinson per lanciare un messaggio: “Non arrendetevi"

Paolo Muzi è malato di Parkinson dal 2017. Una diagnosi che ha sconvolto la sua vita e quella dei suoi familiari. Ma nel 2023 Paolo ha un’idea: affrontare un’impresa, per lui, straordinaria e mettersi alla prova. Così inizia l’allenamento e porta a termine in bicicletta 1100 km della Via Francigena. “Anche nei momenti di sconforto, sapevo che l’avrei finita, perfino in ginocchio. Avevo un messaggio troppo importante da dare”. La prima caratteristica che noti di Paolo Muzi è il sorriso: aperto, sincero. Poi l’accento romano e la voce calda, che lo rendono familiare in pochi istanti. L’ultimo dettaglio che salta all’occhio è il leggero tremore delle mani. Paolo è malato di Parkinson dal 2017. Una diagnosi che ha sconvolto la sua vita, all’epoca 56enne appassionato di bicicletta, e quella dei suoi familiari. La diagnosi “Una mattina – racconta Muzi – ero in auto. Alla radio elencavano i sintomi più comuni del Parkinson: tremore, insonnia, mancanza di olfatto. Ce li avevo tutti”. Inizialmente Paolo non si preoccupa. Può essere comune, si ripete, alla soglia dei 60 anni non riuscire a dormire. E il tremore? Dipende dallo stress. Ma i sintomi peggiorano lentamente. “Alla fine ho dovuto arrendermi. Ho prenotato la visita neurologica e ho aspettato il verdetto. Quando il dottore mi ha detto che era Parkinson, me l’aspettavo”. La vita di Paolo cambia totalmente: se prima era uno sportivo instancabile, dopo la diagnosi non riesce più a muoversi. “La prima cosa che ho fatto – ricorda – è stato chiedere al dottore quanto avessi da vivere. Un responso del genere cambia il parametro con cui valuti tutto: tracci una linea e capisci cosa conta davvero”. Paolo si chiude in se stesso, ma grazie al sostegno della sua famiglia riesce a trovare una corda cui aggrapparsi. “Iniziai a pensare che la malattia provoca un decadimento fisico, quindi per contrastarlo avrei dovuto ricominciare a fare sport. Migliorare me stesso per sconfiggere il Parkinson”. Così Muzi riprende l’attività sportiva e torna al suo grande amore: la bicicletta. “Da lì non c’è voluto molto, pazzo come sono, a pensare di poter compiere un’impresa”. Tremare senza paura, il coraggio di non arrendersi “Una sera – ricorda Paolo – ero al bar con i miei amici. Scherzavamo sul gioco di parole ‘tremare dalla paura’ e io dissi che, sì, io tremavo, ma senza paura. Così nacque l’idea di farlo diventare uno slogan, ‘Tremare senza paura’, e associarlo a un mio sforzo sportivo. Volevo fare qualcosa che fosse difficile per un cinquantottenne e che desse speranza a tutti gli altri malati come me”. È il 2023 e Paolo Muzi inizia la preparazione per affrontare la Via Francigena in bicicletta: 1100 chilometri con 13 mila metri di dislivello. “Ho iniziato a organizzare tutto quattro mesi prima di partire. Passavo le giornate a fare e disfare lo zaino, per renderlo il più leggero possibile. Pesavo la bicicletta, riflettevo su cosa mi sarebbe stato indispensabile e cosa no. L’unica cosa a cui non ho pensato – si commuove – è che ero malato e avrei dovuto agire prendendo in considerazione la mia malattia. Ho affrontato l’allenamento e la preparazione logistica con la mente di una persona sana. A volte mi ha penalizzato, a volte mi ha aiutato”. Paolo inizia il suo viaggio i primi di settembre. Il percorso si snoda tra vie sterrate e montuose, dal Colle del Gran S. Bernardo, tra Italia e Svizzera, fino a Roma. “La sera prima di partire ho alloggiato in un hotel vicino alla prima tappa. Parlai con i proprietari del mio piano e loro mi offrirono il soggiorno. Quando è arrivato il momento di cominciare a pedalare, mi è crollato il mondo addosso”. Sarò in grado di portare a termine l’impresa? Avrò fatto il passo più lungo della gamba? E se mi dovessi sentire male? La mente di Paolo è un intricato gomitolo di pensieri. Qualche settimana prima è caduto dalla motocicletta e si è procurato un piccolo strappo al bicipite. Non gli sembrava niente di grave, ma al momento della partenza quel dolore è diventato lancinante. Le gambe non gli danno ascolto e tutto il suo corpo sembra ribellarsi contro di lui. “Poi mi sono calmato. O meglio, ho costretto la mia mente a calmarsi. Ero lì per lanciare un messaggio, se mi fossi fermato avrei dato ragione alla malattia”. Così Paolo inizia il viaggio. Sulle spalle ha uno zaino di appena 10 kg e ogni sera lava i vestiti usati durante il giorno per indossarli la mattina dopo. “Spesso ho dovuto asciugarli con il phon. Durante la traversata ho sempre dormito negli ostelli. Mia moglie me li prenotava la mattina, quando le dicevo indicativamente dove sarei stato la sera”. Per quanto riguarda il percorso, Paolo decide di abbandonare la strada dedicata al ciclisti una volta arrivato a Lucca, dopo circa 450 km. “Mi ero allenato per pedalare sullo sterrato, ma il tragitto per le biciclette era tutto sull’asfalto. Quindi ho deciso di seguire la via per i pellegrini a piedi. Sentieri di montagna e paesaggi mozzafiato: è stato bellissimo”. Paolo ricorda la fatica del viaggio, i momenti in cui ha pensato di non farcela, ma anche i tanti episodi esilaranti. “Una signora francese mi chiese se potevo aiutarla a gonfiare la ruota della sua bicicletta. Io la gonfiai talmente tanto che questa povera ruota scoppiò. Rido ancora se penso alla faccia della signora”. E infine l’arrivo a Roma. “Vedere il Cupolone, pedalare sui sampietrini, essere accolto dagli amici e dalla famiglia: è stata la sensazione più bella del mondo. Ero così felice che, quasi quasi, avrei rifatto tutto di nuovo”. Un obiettivo raggiunto, altri che devono arrivare Dopo essere sceso dal sellino, Paolo si è accorto della grandezza della sua impresa. “Nei giorni seguenti, mi hanno scritto molte persone malate per ringraziarmi della speranza che gli avevo dato. In particolare, mi scrisse una ragazzina. Suo padre era da tempo affetto da Parkinson e sapere quello che avevo fatto le aveva dato qualcosa a cui aggrapparsi. La consapevolezza che, forse, anche suo padre si sarebbe ripreso e avrebbe ricominciato a fare ciò che amava”. Dato il successo che la sua idea ha avuto, Muzi spera di poterla replicare l’anno prossimo, magari raddoppiando i chilometri. “Sono partito pensando che, se anche avessi convinto un singolo malato a non arrendersi, avrei vinto. Dopo aver finito la Francigena, ho ricevuto i messaggi di moltissime persone che lottavano con il Parkinson e che mi ringraziavano per il mio coraggio. Per questo ho deciso di continuare”. L’esperienza del viaggio ha anche profondamente cambiato Paolo da un punto di vista umano. “Ho molta più fiducia in me, sono soddisfatto. So che posso affrontare la vita con lo spirito con cui ho affrontato lo sforzo fisico della Francigena. Anche quando ero esausto e i chilometri mi sembravano troppi, avevo la certezza che non mi sarei arreso e che l’avrei finita persino in ginocchio. Il messaggio che volevo dare era troppo importante, forse più grande di me”.