In fuga da Egitto e Bangladesh, il viaggio sospeso

Confusi e spaventati. I legali che li seguono, descrivono così i 12 migranti, egiziani e bengalesi, oggetto, loro malgrado, del recente scontro apertosi in Italia tra governo e magistratura. Il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari, è soltanto l’ultima tappa di un lungo ed estenuante viaggio che rischia, ora, di riprendere a ritroso, verso quei paesi, i loro paesi, dai quali sono fuggiti mesi fa. A Shengjin e Gjader, i due centri per migranti a giurisdizione italiana nati dall’accordo tra Roma e Tirana nei quali erano stati trasferiti il 16 ottobre con la nave Libra della Marina Militare, la commissione territoriale ne aveva bocciato, ritenendole infondate, le domande di protezione internazionale, destinandoli all’area “detentiva” riservata agli ospiti da rimpatriare. La successiva sentenza della sezione immigrazione del tribunale di Roma, non convalidando il loro trattenimento in Albania, li ha solo momentaneamente “liberati”, trasferendoli in Italia. E nel C.a.r.a. di Bari, uno dei più antichi centri per migranti in Italia, allestito su una vecchia pista dell’aeroporto militare già negli anni ’90 per accogliervi i profughi kosovari in fuga dalla pulizia etnica di Milosevic, i 12 migranti egiziani e bengalesi attenderanno ora l’esito dei ricorsi contro la mancata accettazione delle loro richieste di asilo. Vi stanno lavorando diversi avvocati, quasi tutti romani, che hanno deciso di dar vita ad un pool per rendere più omogeneo il loro lavoro. L’obiettivo comune è quello di far valere la vulnerabilità di questi migranti, per i quali un ritorno in patria sarebbe pericoloso, per motivi politici per alcuni, religiosi per altri, nonostante anche l’ultimo decreto messo a punto dal Governo, consideri Bangladesh ed Egitto paesi sicuri. L’articolo 10 che la nostra Costituzione dedica al diritto d’asilo, e la convenzione di Ginevra sullo status dei Rifugiati del 1951, saranno i riferimenti normativi dei ricorsi, che dovranno essere presentati entro 15 giorni. Sull’altra sponda dell’Adriatico, intanto, i due centri italiani per migranti sembrerebbero destinati a rimanere vuoti ancora per poco. Il nostro governo è sempre più convinto della validità del protocollo italo-albanese, che ha già avuto dei costi importanti, con la costruzione delle due strutture: sul porto di Shengjin la prima, a Gjader l’altra, all’interno di una vecchia base dell’aeronautica albanese. Il primo funzionerà come un vero proprio “hot spot”; non essendo dotato di posti letto, fungerà solo da transito per i nuovi arrivati, che una volta visitati e identificati, saranno trasferiti a Gjader, il più grande dei due centri, con una capienza, al momento, di 400 posti, che si confida, tuttavia, di raddoppiare nel giro di qualche mese. Vi sono destinati migranti maschi, soli, salvati in operazioni di soccorso effettuate dalle nostre autorità, e che rispettino tre requisiti fondamentali: la maggiore età, la non vulnerabilità e la provenienza da paesi sicuri. Dei 16 primi arrivati a bordo di nave Libra della Marina Militare italiana, quattro sono stati subito spediti in Italia perché risultati minorenni o trovati in condizioni fisiche non compatibili con la permanenza nei centri, per gli altri 12, ha deciso, invece, il tribunale di Roma, che appellandosi ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea che non considerava Egitto e Bangladesh paesi sicuri, ha messo fine, dopo appena 72 ore, al loro soggiorno in terra albanese.

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