Diventare insegnanti in Italia è un percorso ad ostacoli?

Il 5 ottobre è la Giornata Mondiale degli Insegnanti. Istituita nel 1994 per commemorare la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell’UNESCO sullo status di insegnante, ha come obiettivo quello di suscitare riflessioni sul ruolo dei professionisti della formazione. “Quanto meno abbiamo una ricorrenza dedicata, magra consolazione!” scherza Beatrice Fumagalli, professoressa che su Instagram si è costruita un seguito di quasi 100mila follower, raccontando le vicissitudini di una insegnante precaria. Già, perché essere professori in Italia è tutt’altro che facile: i dati elaborati da Uil Scuola mostrano che il numero di docenti precari è raddoppiato tra il 2016 e il 2023, mentre notizia di qualche giorno fa è che il nostro Paese è stato deferito alla Corte di Giustizia Ue per non aver posto fine all'uso abusivo di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie per i professori non di ruolo. Insomma, una situazione non certo rosa e fiori, che è stata ulteriormente complicata dalla recente Riforma per il reclutamento insegnanti. “Inizialmente abbiamo festeggiato le novità introdotte, come i percorsi di abilitazione” spiega Giuseppe D’Aprile, segretario generale di Uil Scuola Rua. “Ci è voluto poco per accorgersi che la pezza era peggiore del buco”. “La nuova riforma- continua D’Aprile- si innesta su un’impalcatura complicata di leggi e decreti, rendendo il tutto farraginoso e difficile da capire”. Come si diventa professori in Italia, oggi La Riforma voluta dall’ex ministro dell’Istruzione Bianchi ha cambiato l’iter di accesso alla professione di insegnante in Italia. Il nuovo percorso prevede innanzitutto l’ottenimento dell’abilitazione, tramite specifici corsi universitari regolati dal DPCM del 4 agosto 2023, il cosiddetto DPCM 60 CFU. Infatti, se prima era sufficiente l’acquisizione di 24 CFU in materie antropo-psico-pedagogiche per accedere ai concorsi, adesso i crediti da ottenere sono 60, almeno 20 dei quali di tirocinio diretto. “Alla fine del percorso abilitante - spiega Fumagalli - devi superare un esame e se non riesci a passarlo devi rifare tutto daccapo”. Una volta conseguita l’abilitazione, è possibile iscriversi ai concorsi, che dovrebbero essere banditi annualmente, per ottenere il posto di ruolo. “Ma attenzione - interviene Beatrice - se riesci a prendere il massimo dei punti alla prova scritta e alla prova orale del concorso, ma non hai abbastanza punti derivanti dagli anni di servizio o dai titoli di studio, non puoi entrare nella graduatoria finale e quindi non ottieni il posto”. Infine, coloro che risulteranno i vincitori del concorso non saranno da subito assegnati a una cattedra, ma dovranno prima superare un anno di prova e un esame finale. “Insomma - scherza ancora Beatrice - diventare professori è diventato un vero e proprio percorso ad ostacoli!”. I costi proibitivi dei percorsi abilitanti: insegnare sta diventando un mestiere elitario? Abbiamo già parlato dei costi dei percorsi abilitanti per l’insegnamento. Un cortocircuito che rischia di far diventare il professore un mestiere per chi se lo può permettere. “Molti colleghi mi scrivono su Instagram - racconta Fumagalli - dicendomi che hanno rinunciato all’abilitazione per il prezzo. L’altro giorno mi ha scritto una professoressa: sia lei sia suo marito devono prendere l’abilitazione e hanno dovuto scegliere chi dei due dovesse iscriversi ai corsi per primo. Altrimenti, non ce l’avrebbero fatta a spendere subito 5000 euro”. “I costi altissimi a carico degli aspiranti docenti - commenta Gianna Fracassi, segretaria generale FLC CGIL - hanno reso la formazione selettiva sulla base delle possibilità economiche più che del merito. Dovrebbero far sì che i costi dei percorsi abilitanti siano calibrati in base al redditto, altrimenti la scuola rischia di perderci”. Ma non è finita qui. Come spiega Giuseppe D’Aprile, per remunerare i tutor dei corsisti dei percorsi abilitanti è stato previsto un taglio della card per la formazione dei docenti di 19 milioni di euro per il 2024 e 50 milioni di euro a decorrere dal 2025. “E sempre in tema di costi - aggiunge D’Aprile - nel 2020 è stato pubblicato il Decreto n. 497 che permetteva ai docenti con tre anni di servizio di partecipare ad una procedura per il conseguimento dell’abilitazione. Procedura mai espletata. Gli aspiranti, in possesso dei previsti requisiti, hanno presentato le relative domande di partecipazione entro il 15 giugno 2020, pagando anche il previsto contributo di segreteria di 15 euro. Un accumulo di un milione e mezzo di euro. Somma di cui si sono perse le tracce e che non è stata ancora restituita”. Un’ altra problematica che i docenti hanno dovuto affrontare è stato il dover scegliere, almeno per il percorso abilitante partito quest’anno, tra il lavoro e l’abilitazione. “Il ciclo di lezioni per il 2024 - spiega Beatrice - è iniziato a luglio e finirà a novembre. Dato che è previsto un tirocinio diretto di circa 180 ore e che la scuola è iniziata a settembre, molti colleghi hanno dovuto rinunciare a delle supplenze per prendere l’abilitazione. Assurdo: non possiamo lavorare per frequentare il percorso, ma per frequentarlo bisogna pagare”. Inoltre, i corsi abilitanti partiti quest’anno scontano alcune criticità legate al ritardo nell’avvio e alla mancanza di una regia comune da parte dei ministeri dell’Istruzione e dell’Università. “Questo ha fatto sì - chiosa Fracassi - che non ci sia una garanzia sulla qualità della formazione, ma che, anzi, vengano attivati percorsi farlocchi, se non fraudolenti, proposti soprattutto dalle università telematiche”. Dunque, una disorganizzazione generalizzata, dovuta a una mancanza di coordinamento e all’assenza di direttive precise da parte dei ministeri. “Adesso che sto frequentando il percorso abilitante - spiega Fumagalli - mi sto realmente rendendo conto di quanto non ci sia una vera direzione o obiettivo da raggiungere. Sono lezioni frontali, poco interessanti, senza alcun riferimento alla didattica. Trecento persone che ascoltano un professore che parla e che, spesso, non sa nemmeno lui cosa dire. Anche perché si tratta, la maggior parte delle volte, di professori universitari, che non entrano in una classe dai tempi del loro liceo”. Il labirinto dei concorsi: dove sono finite le graduatorie di merito? Banco di prova della Riforma è stato l’ultimo concorso docenti. Legato al Pnrr, è parte di un piano il cui obiettivo è assumere 70.000 docenti entro il 2026. Il concorso si è svolto quest’anno, non senza problemi organizzativi. “La prova scritta - spiega Beatrice - era su materie antropo-psico-pedagogiche. Nei concorsi precedenti, lo scritto verificava la disciplina sulla quale volevi ottenere la cattedra. Testare nella prima prova le conoscenze psico-pedagogiche è stata un’arma a doppio taglio. Infatti, quasi nessuno di noi era laureato in tali materie, quindi il Ministero ha dovuto facilitare i quesiti. Ma la difficoltà delle domande era totalmente squilibrata: alcune erano facilissime. La conseguenza è stata che allo scritto sono passati in tantissimi e le commissioni si sono trovate a dover interrogare fino a 5000 candidati. Alcuni miei colleghi sono stati convocati all’orale il 14 agosto”. Questi ritardi nelle procedure concorsuali hanno fatto sì che, in molti casi, le graduatorie dei vincitori venissero pubblicate a scuola già iniziata. Quindi, per coprire le cattedre precedentemente riservate ai vincitori del concorso, sono stati chiamati dei supplenti, che hanno firmato un contratto con una clausola specifica: qualora fosse nominato il titolare di quella cattedra, sarebbero stati deposti dall’incarico. “Il ministero, però, si è reso conto che questa misura avrebbe causato un turn over di insegnanti ad anno scolastico iniziato - spiega Fracassi - ed allora ha deciso di mettere una toppa peggiore del buco. Infatti, ha emanato un provvedimento secondo il quale i supplenti che risulteranno anche vincitori del concorso dovranno obbligatoriamente essere assunti nel posto che avevano accettato come supplenza. Ma questo rende le graduatorie di merito totalmente inutili: un professore X è costretto a rimanere su una cattedra che aveva preso come supplenza anche se secondo la graduatoria gli spetterebbe un posto migliore”. Un’altra ingiustizia riguarda i docenti ritenuti idonei nelle precedenti sessioni di concorso. Infatti, le graduatorie concorsuali del 2020 non sono ancora state esaurite e i professori abilitati in quel contesto potranno essere nominati solo se la graduatoria 2023 si esaurirà. “A ciò aggiungiamo - commenta D’Aprile - che sono ancora da esaurire le graduatorie dei concorsi 2016 e 2018. Insomma, si attivano nuove procedure quando ci sono quelle precedenti ancora in atto”