La città delle donne: cos'è e perché è la città di tutti

“Gridavo con tutta la voce che avevo, ma non mi sentiva nessuno perché il sottopassaggio è abbandonato. È assurdo pensare che a Roma ci siano terre di nessuno dove chiunque può sentirsi libero di fare quello che vuole”. La donna rapinata e violentata la scorsa settimana a Roma, in zona Porta Pia, ha raccontato la sua esperienza al Messaggero con dolore e consapevolezza. Dopo una serata con le amiche, era diretta alla fermata degli autobus di Termini per tornare a casa, quando un uomo l’ha aggredita e trascinata in un sottopassaggio. Le sue parole trasmettono tutta la paura che ha provato, ma con estrema lucidità fanno emergere un tema delicato: ci sono luoghi della città che richiedono soprattutto alle donne di girare alla larga, di cambiare strada, di camminare con un pugno di chiavi in mano. Come ha scritto Leslie Kern, autrice del libro La città femminista, "i miti dello stupro hanno anche una geografia. Si inseriscono nella mappa mentale della sicurezza e del pericolo che ogni donna porta con sé. Cosa ci facevi in quel quartiere? In quel bar? Aspettavi l'autobus da sola?” Questi miti sessisti servono a ricordarci che ci si aspetta che limitiamo la nostra libertà di camminare, lavorare, divertirci e occupare spazio in città. Dicono: La città non è davvero per te”. Ma c'è un modo per riappropriarsi dello spazio urbano e invertire questa tendenza. Creare strade sicure con pratiche partecipative Se è difficile immaginare una città in cui non accade niente, dall'altra parte "non possiamo nemmeno accettare una città in cui succede qualcosa in uno spazio pubblico e nessuno se ne accorge", dicono le urbaniste Azzurra Muzzonigro e Florencia Andreola, fondatrici di "Sex & the City", l’associazione che osserva le città italiane da un punto di vista di genere. "Si è persa un po’ la consapevolezza collettiva che la società funzioni grazie al fatto che no, la maggior parte delle persone non è cattiva" e si è diffusa l’idea per cui se ti intrometti per dare aiuto a qualcuno passi i guai. "È una distorsione enorme perché la società non potrebbe proprio funzionare se la maggior parte della gente fosse delinquente", ribadiscono le autrici del Milan Gender Atlas , l’atlante che mappa gli spazi urbani che facilitano la vita quotidiana di donne e minoranze di genere, e di Libere, non coraggiose. Le donne e la paura nello spazio pubblico . Stabilire rapporti di fiducia e di cura reciproca è fondamentale: le iniziative più virtuose in questo senso hanno a che fare con le attività di buon vicinato e con la creazione di presidi femminili. L’urbanistica di genere, infatti, tenta di ridisegnare gli spazi urbani a partire dai bisogni di tutte le persone che li attraversano, come donne e minoranze di genere. "Non è più il soggetto standard su cui abbiamo basato la nostra intera cultura, quel ‘maschile universale’ a cui tutto si riferisce, il centro della nostra pianificazione", dice Muzzonigro. "È necessario includere tutte le soggettività che vivono certi spazi, i loro bisogni, i loro desideri, così che le città possano rispondere anche a questi soggetti". Gli “Affacci solidali” di via Arquà a Milano Riattivare le comunità che rendono vivi certi luoghi è la soluzione individuata dalle fondatrici dell’associazione Sex & the City. A Milano ci sono esempi virtuosi in questo senso, come quello dell’associazione Bellarquà, che presidia, appunto, l’omonima strada che interseca la multietnica e popolare via Padova. Qui la conflittualità sociale è molto alta. "Accade che giovani marginalizzati, che magari fanno uso di droghe, finiscano per fare casino. La comunità di via Arquà si è unita per creare, inizialmente, un comitato di abitanti, e poi un'associazione per darsi un sostegno reciproco". Una delle iniziative più efficaci è "Affacci solidali": una chat di whatsapp proposta da un gruppo di donne che volevano sentirsi più sicure nel tornare a casa, in cui "quando qualcuno torna a casa e ha paura ad attraversare la via, chiede a uno dei vicini di affacciarsi alla finestra o di rimanere al telefono finché non rientra". Via Arquà "ha molta microcriminalità di strada, per lo più ragazzi che spacciano, e questo fa sì che le persone che tornano a casa la sera abbiano bisogno di sentirsi più sicure, anche se la percezione di insicurezza non si è mai trasformata in episodi di violenza", racconta Anna Giorgi, presidente dell’associazione Bellarquà. "Così abbiamo pensato ad 'Affacci solidali' per fare prevenzione". La sicurezza pensata soprattutto per le donne finisce per far sentire più sicuri tutti: chiunque passa di lì può andare sulla pagina Instagram dell’associazione, contattare il numero di Bellarquà e ricorrere ad "Affacci solidali". L’altra iniziativa, che si allinea allo spirito di creare spazi sicuri attraverso i rapporti di cura, è la musica dalla finestra. "Se cominci a riappropriarti della strada ti risulta più semplice tornare a casa in sicurezza", spiega Giorgi. Il ricorso alla musica serve proprio a creare legami di fiducia tra i residenti della via più multietnica del quartiere: "La musica è un linguaggio universale: non bisogna conoscere l’italiano". Una ragazza apre la finestra e si mette a suonare il pianoforte riempiendo la strada di sinfonie classiche per un’ora. "Abbiamo notato che gli stessi ragazzi che spacciano si fermano ad ascoltare. Portare bellezza aiuta a sentirsi più sicuri". E non solo: l’associazione ha pensato anche a colazioni comunitarie offerte nei cortili dei palazzi. "Speriamo che anche chi non è italiano cominci a fidarsi di noi. Vogliamo che le famiglie straniere ci vedano come persone su cui appoggiarsi". "Sono piccole iniziative - continua la presidente di Bellarquà - che tutelano le persone che abitano il quartiere e correggono ciò che non va senza snaturare la via". Riqualificare senza gentrificare? Si può Serve un intervento "chirurgico" per trasformare "i luoghi irrisolti delle nostre città", spiegano Andreola e Muzzonigro. Fa bene a tutti, non solo alle donne, trovare una soluzione per un tunnel vuoto che può essere attraversato anche di notte e che magari ospita persone senza fissa dimora in condizioni psicologiche di fragilità e di cui nessuno si occupa. "Abbiamo una paura folle che lo sguardo che noi portiamo diventi una miccia gentrificatrice, perché Milano in questo senso è molto insidiosa: appena riesci a ottenere un risultato di miglioramento estetico, se ne approfitta per aumentare i valori immobiliari". E infatti, ribadisce Andreola, "la questione è che tutto questo non può funzionare se non c’è una politica sulla casa sensata". Servono "politiche di coesione sociale, capaci di riqualificare gli spazi problematici senza delocalizzare i problemi, ma capendo da dove hanno origine, cioè se ci sono delle persone che vivono in strada e che hanno una condizione psicologica di fragilità, di marginalità, bisogna prendersene cura". Nuovi rapporti di cura e il dialogo con le istituzioni Dal lato istituzionale, il lavoro di Muzzonigro e Andreola ha come interlocutore privilegiato il Comune: "Abbiamo un dialogo molto intenso con l’amministrazione pubblica per costruire progetti partecipativi che diano voce alle donne nella pianificazione urbana. Con Franco Gabrielli, ex capo della polizia e oggi responsabile della task force sulla Sicurezza a Milano, abbiamo impostato un dialogo tale per cui le soluzioni securitarie non sono pensate come l’unico strumento utile per affrontare il problema". Sono però i rapporti di cura che distinguono un quartiere con un presidio femminile da uno con presidi di polizia. Come dicono le esperte, "non si può risolvere con la presenza di forze dell’ordine in ogni dove", serve un lavoro strutturale e sul lungo periodo. "Servono, appunto, ‘presidi femminili’, che fanno sì che la città abbia una vitalità che porta le persone nello spazio pubblico: persone che camminano, che si affacciano, che gestiscono attività. Che creino, alla fine, un presidio spontaneo", proprio come nel caso degli Affacci solidali di Bellarquà.