Sarà un codice a frenare gli affitti brevi in Italia?

Il dibattito sugli affitti brevi è entrato da tempo nei salotti della politica ma ha, prima di tutto, rilevanza sociale. Da un lato, chi vuole bandirli rivela l’intenzione di interrompere lo spopolamento dei centri cittadini – la popolazione del primo municipio di Roma, per fare un esempio, è calata del 5 per cento dal 2016 al 2021 – e di frenare l’aumento del canone medio delle locazioni a lungo termine. Dall’altro, chi difende AirBnb e affini lo fa sulla base del diritto di disporre liberamente della proprietà privata, sostenuto dall’incremento dei turisti nei capoluoghi italiani e dal beneficio medio per notte a vantaggio dei consumatori che hanno generato le locazioni brevi . In realtà, a tutti è chiaro che il fenomeno ha bisogno di una regolamentazione. Che arriverà, ma sarà una corsa a ostacoli. Dal prossimo 2 novembre tutti i proprietari intenzionati a fare affitti brevi dovranno dotarsi di un Codice identificativo nazionale da esporre sull’immobile e negli annunci. Altrimenti le multe, da pagare a partire dal 2 gennaio 2025, spazieranno dagli 800 agli 8.000 euro. Ma per ottenere il Cin non sarà sufficiente soddisfare i nuovi adempimenti: servirà anche il possesso dei codici regionali già vigenti, che variano da provincia a provincia. In altre parole, per arrivare al Cin, a Milano servirà garantire un asciugacapelli in ogni appartamento, a Venezia saranno necessarie le fosse settiche e a Sirmione due posti auto ogni 50 metri quadrati. Un dedalo di obblighi che ha gettato alcuni locatori nel caos. Nicola Bellini, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, ha un’idea chiara sul futuro delle locazioni brevi. Professore, sarà quindi un codice a frenare la corsa degli affitti brevi? Non credo affatto che sarà così. Ogni volta che, a livello locale, si è tentata una forma di regolamentazione il risultato è stato di far emergere il “nero” che ossessivamente era presente fino a quel momento. Nessuno di questi soggetti, a partire dai privati, ha interesse a giocare con multe e contro-multe: i margini sono alti, troppo alti. Casomai, dobbiamo intervenire su quelli, perché non penso che la soluzione sia frenare gli affitti brevi. Cioè? Il mercato turistico ha ripreso la sua crescita e ha ancora dei margini importanti. Quella di ridurre il turismo è una prospettiva irrealistica e probabilmente non auspicabile, senza contare che la congestione di turisti nei centri cittadini non dipende solo dagli affitti brevi ma anche dagli alberghi, dai viaggi giornalieri e da altri fattori. Oggi l’urgenza non è tanto quella di frenare, ma di qualificare questo settore che si è abbandonato, in Italia, alla logica della rendita. Se ho l’appartamentino, lo metto in affitto facendo il minimo possibile e investendo pochissimo perché comunque porto a casa un reddito alto. Dobbiamo, su questo, darci tutti una regolata. E il Codice identificativo nazionale va nella direzione che auspica? Credo che sia in ritardo, comprensibilmente. Ma senz’altro risponde a esigenze di trasparenza che sono locali, nazionali ed europee. Vuole dire che il Cin sarà utile per la tutela dei turisti consumatori? Certo, perché anche in questo mondo – fra turisti e locatori – c’è chi fa il furbo. Ma voglio dire che dietro a questa etichetta di affitti brevi ci sono realtà molto diverse tra loro: la villa di lusso, la stanza, il sottoscala, etc. Anche piccoli proprietari diventano imprenditori e, di conseguenza, la trasparenza diventa un’esigenza fondamentale per tutti. Quello che abbiamo imparato in questi anni, ad esempio, è che abbiamo un’enormità di problemi legali. Io non sono un giurista, ma chiunque abbia avuto a che fare con la questione si è confrontato con una serie di difficoltà strettamente giuridiche che riguardano il diritto di disporre liberamente della proprietà immobiliare. Ogni volta che si tenta di interferire con questo diritto, poi, i proprietari reagiscono. Senza contare che porre un recinto agli affitti brevi nei centri cittadini sposta soltanto il problema: a Firenze è stato fatto così e, il giorno dopo, sono stati aperti annunci dall’altro lato della strada, dove formalmente non era più centro storico. Il Cin, però, pare aver gettato alcuni proprietari nel caos degli adempimenti. È lecito aspettarsi che le nuove regole garantiranno uniformità fra gli annunci? Io non sono così preoccupato da questo discorso dell’uniformità e del caos. Facciamo attenzione: gli affitti brevi non sono la stessa cosa se parliamo di Venezia o di Firenze, oppure ancora di un borgo di campagna o di una località di mare. Si creano giustamente declinazioni diverse a seconda del luogo su cui insistono le locazioni. Se parliamo di grandi città, ci confrontiamo con esigenze di servizi di qualità e connessioni che altrove non abbiamo, a causa della concorrenza con gli alberghi. Una concorrenza che fa bene o male al settore? Dipende, ma le regole servono a questo: a far maturare il settore. Io costringerei, se mi passa il termine, i proprietari a investire di più: a fornire più servizi e a dare più assistenza ai turisti per gestire meglio anche la concorrenza. Questo – lo capisco – significa ridurre i loro margini, ma sono molto ampi. Abbiamo parlato di tutelare i turisti, ma c’è bisogno di tutelare anche i residenti? Certo. Dobbiamo rimettere in primo piano il rapporto con le comunità locali. Ma attenzione a credere che il turismo sia la sola causa dei problemi dei residenti: nei centri storici ci sono difficoltà con il commercio, con la qualità dei servizi per studenti e per famiglie, e così via. Non possiamo pensare, come a Barcellona, che cancellare il turismo risolva con la bacchetta magica tutti i problemi delle nostre città. Non è così.

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