Cittadini ritrovati, il villaggio che abbraccia le persone con demenza

A guardare i cartelli stradali all’incrocio, le indicazioni per il teatro, il cinema, un salone di bellezza e la piazzetta principale tinteggiata dalle case colorate, sembrerebbe di essersi cacciati in un quartiere fiabesco di Monza. E in effetti il Paese Ritrovato non vuole trarre in inganno: ci si può finire perché la vita decide di portarti lì, ma è impossibile perdersi dentro. Dal 2018 la Cooperativa La Meridiana ha dato vita a un villaggio dedicato alle persone che convivono con Alzheimer e demenze di ogni tipo. Una sorta di borgo dove i suoi 64 residenti possono sentirsi liberi di passeggiare in libertà e far tornare al centro della propria vita la socievolezza, magari tra un tè al bar o dei pomeriggi all’insegna di balletti nel teatro. Veri e propri cittadini ritrovati, seppur sempre assistiti dai medici e dai volontari che ne costituiscono le fondamenta. Al Paese Ritrovato succede anche di tornare tra i banchi. Non è raro vedere i residenti più abili con le lingue, o magari ex docenti, rimettersi alla lavagna per far sbocciare la voglia di imparare, seppur in tarda età e tra i patemi della malattia. Ma ormai è lo stesso villaggio a fare scuola nel mondo. Prima uno studio condotto dai ricercatori dell’università Bicocca di Milano , poi un premio esclusivo vinto durante l’ultimo congresso di Psicogeriatria in Giappone confermano l’efficacia del progetto, che può diventare d’ispirazione in tutto il mondo. Una sorta di modello di cura in cui coesione e valorizzazione delle doti personali, capaci di riaffiorare anche sotto altre forme, tornano centrali in questa fase di vita. “La salute fisica è alla base, ma noi lavoriamo sulle risposte non farmacologiche a queste malattie”, spiega Mariella Zanetti, geriatra del Paese. “Se ci sono delle alterazioni del comportamento, tendiamo a non utilizzare sedativi. Tutto si basa sulle relazioni che instauriamo con le persone, coltiviamo ciò che ancora resta di sociale ed emozionale in loro”. A essere coinvolti nel Paese Ritrovato sono anche le famiglie dei residenti, guidati in percorsi di supporto paralleli. “Da parte loro spesso si avverte un senso di colpa nel delegare la terapia ad altri”, racconta Marco Fumagalli, consulente della Cooperativa La Meridiana. “Ma ci muoviamo in gruppi di supervisione dedicati ad hoc. C’è una manutenzione emotiva”. E pensare che è tutto nato da un’intuizione degli operatori della Cooperativa, già impegnati in altre strutture residenziali. “Avevano scelto di intraprendere una nuova strada da usare come terapia”, prosegue Marco Fumagalli. “Hanno iniziato a informarsi e aggiornarsi sulla malattia, fino a partire per viaggi all’estero e verificare quale sia lo stato della cura innovativa. La soluzione era una nuova struttura: un villaggio per chi soffre di Alzheimer”. Da lì, tutto vien da sé. “Il borgo rappresenta la situazione ambientale ideale, dove i rapporti sono estremamente facili tra le persone. Il ritmo della vita è adeguato alle caratteristiche degli abitanti. Tutti i servizi e le necessità vengono assolte in maniera spontanea”. Fino a non far sentire nessuno abbandonato. “Si crea anche quel mutuo aiuto da comunità che ritrova il coraggio di affrontare la vita. Non esistono più singoli abitanti”. Il modello resta quello del presidio sanitario, “ma questa sensazione resta dietro le quinte”. Ben 38 operatori e 25 volontari, integrati allo stesso modo dei residenti: “Un’altra micro-comunità che si muove insieme ai cittadini, parallela rispetto al loro palcoscenico di vita. Al villaggio non esistono divise, l’infermiere consegna le medicine girando con uno zainetto, insieme a tante altre piccole cose che fanno la differenza”. Nonostante i tentativi come quelli del Paese Ritrovato di trovare vie traverse per affrontare la malattia e accompagnare le persone con demenza, i numeri del presente e del futuro restano allarmanti. Nell’ultimo Rapporto mondiale Alzheimer 2024, redatto dall'Alzheimer’s Disease International e diffuso dalla Federazione Alzheimer lo scorso 21 settembre per la giornata mondiale delle demenze, si nota come i casi arriveranno quasi a raddoppiare entro il 2050. Dagli attuali 1.48 milioni a 2.3 milioni soltanto in Italia. “La maggior parte qui al villaggio sono donne e hanno una demenza di Alzheimer”, riporta la dottoressa Zanetti. “Un altro 19% ha una demenza frontotemporale”: è il caso di Arturo Baron , ex docente di fluidodinamica che ha iniziato a comunicare con le fotografie “perché spesso il comportamento e il linguaggio in questo tipo di malattie diventa difficoltoso”. La soluzione scelta dal Paese, però, serve proprio ad abbattere lo stigma sociale di tendenza nel mondo. Secondo un’indagine analizzata dalla London School of Economics and Political Science , il 31% delle persone con demenza evita le situazioni conviviali, mentre il 36% smette di cercare lavoro per non essere discriminato o giudicato. Lo stesso accade agli affetti coinvolti: il 47% non accetta più inviti da parenti e amici; il 43% ha smesso di avere ospiti a casa. Ciò che resta da assimilare, per Marco Fumagalli, è la consapevolezza di una vita da non far precipitare, seppur sia ostacolata. “Per sensibilizzare l’opinione pubblica cerchiamo di uscire dalla giornata mondiale dell’Alzheimer e tenere alto il livello di attenzione per tutti i giorni dell’anno. Facciamo parte di un sistema che può ridare senso a una comunità più solidale. Ogni vita, alla fine, è un capolavoro d’arte”. Magari da tornare a colorare in un villaggio pittoresco.

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