Vendemmia amara, perché i giovani italiani preferiscono la Francia

Con un paio di click si registra l’account su candidat.pole-emploi.fr e, dopo il login, resta solo l’imbarazzo della scelta dell’azienda. Selezionata la meta, il dialogo con l’impresa si svolge direttamente sulla piattaforma che fornisce mail e contatti personali: “Riesci ad avere una risposta nel giro di pochi giorni proprio dalla persona che poi gestisce la vendemmia e che sarà lì in vigna con te la mattina del primo giorno” racconta Iacopo Gurioli, fiorentino, classe 1999. Il suo, verso lo Château du Moulin-à-Vent di Flourie, è stato un viaggio come quello di migliaia di altri giovani italiani che, all’imbrunire dell’estate, accendono le auto e viaggiano oltralpe per vendemmiare. “Trovare lavoro in Francia nel vitivinicolo è semplice, intuitivo e veloce” ribadisce Gurioli, sottintendendo che non è lo stesso in Italia. In Italia, però, la carenza di lavoratori stagionali è endemica e sempre più grave. Quantificarla è complicato: secondo le stime di Susini Group, che opera nella consulenza del lavoro, quest’estate mancavano 239mila impiegati, di cui 33.460 solo nel settore agricolo. Confagricoltura parla invece di 100.000 braccia assenti quest’anno per la stagione della raccolta, non del tutto compensate dagli 89.000 posti per il lavoro subordinato stagionale previsti dal “Decreto Flussi” nel 2024. Di certo c’è che gli impiegati nel settore agricolo italiano sono per la maggior parte stranieri e che i giovani italiani preferiscono raccogliere l’uva francese. Per qualche dollaro in più A domanda rispondono: cosa vi spinge verso la Francia? “I soldi, prima di tutto”. “Non mi è mai venuto in mente di provare in Italia perché ti pagano la metà e non hai questa bella cosa che si chiama indennità di rimpatrio, che è il vero motivo per cui la maggior parte delle persone va a fare la vendemmia in Francia”, sostiene Federica Rappoli, 31enne lucana che, dopo un’esperienza di lavoro in Tanzania e una laurea in Relazioni internazionali, ha deciso di dedicare una piccola parentesi agostana alla raccolta dell’uva a un’oretta di auto da Lione. In realtà, si chiama indennità di disoccupazione per lavoratori rimpatriati e consente a chi è stato impiegato all’estero una retribuzione massima di 180 giorni in Italia, pari al 30% della paga mensile fissata annualmente con decreto ministeriale. Tradotto: a un mese di lavoro in Francia a 1.800 euro corrispondono circa 600 euro nel semestre successivo in Italia. Altri 3.600 euro complessivi. L’indennità varia da regione a regione e da caso a caso - “io non l’ho ricevuta per tutti i mesi perché ho trovato un lavoro prima” racconta Rappoli - ma il vantaggio economico in Francia è netto già a partire dalla busta paga. “Prendevo 12,50 euro all’ora, in bianco, oltre a un bonus di 100 euro per aver completato l’intera vendemmia - assicura Iacopo Gurioli – senza contare i sabati che sono festivi”. In Italia la paga minima oscilla a seconda della località, ma difficilmente supera gli 8 euro lordi per la raccolta dei piccoli frutti. Vita nei campi: il reclutamento Si inizia alle 6, quando un furgone porta i braccianti alle vigne “stando in piedi come le vacche”, ironizza Gurioli. Poi, forbici in mano sotto il sole cocente a temperature che raggiungono i 40 gradi fino alla pausa delle 10.30, quando arriva pane, formaggio e cioccolato. Alle 13 termina il lavoro e un camion conduce agli alloggi, spesso all’interno di un campeggio dove poter mangiare, riposare e godersi la compagnia. “Questo era lo Château du Moulin-à-Vent, un Eden dove ci trattavano benissimo e lavoravamo solo mezza giornata – spiega Gurioli – ma non è ovunque così”. È così, perlomeno, nelle aziende che reclutano manodopera facendosi pubblicità all’estero. Gregoire Hoppenot per esempio, il responsabile dell’omonima azienda vitivinicola dove ha lavorato Rappoli, ha iniziato cercando operai nelle aule universitarie. Prima organizzando incontri all’Alma Mater di Bologna, poi sostenendo una collaborazione biunivoca con la stessa Università che si è fatta promotrice di una campagna di vendemmia francese. Non è un caso, dunque, che assieme alla 31enne lucana lavorassero altri 24 laureati italiani, provenienti per la maggior parte da cursus umanistici. “È triste – commenta Rappoli – che dottori con tantissime esperienze in Italia e all’estero siano costretti alla vendemmia in Francia per guadagnare un po’ di soldi”. Ed è ancora più triste quando alla già dura vita dei campi si sommano sfruttamento e condizioni abitative insufficienti. Vita nei campi: sfruttamento “Ci hanno dato un campo per dormire, ma quando un’alluvione chi ha spazzato via le tende nessuno ci ha dato una mano”. Per Anna Ciardi, che ha vendemmiato a Flourie, il gioco non è valso la candela ogni giorno. E al ritorno in Italia è arrivata anche la beffa: “Non ho ricevuto neppure la disoccupazione di rimpatrio perché, quando sono tornata in Italia, dato che avevo diritto alla Naspi, non me l’hanno data. Ma io non avevo richiesto la Naspi e quindi sono rimasta senza entrambe”. Le esperienze più dure si assomigliano tutte: “Molte aziende non lasciano che ti fermi - l’ho riscontrato sul posto - non ti danno acqua, non danno il pranzo, fanno lavorare la mattina e il pomeriggio”, racconta Gurioli. Cui fa eco Federica Rappoli: “Ricordo che una volta mi ero seduta per terra per tagliare l’uva, il proprietario mi ha vista e mi ha rimproverata perché avrei perso tempo da seduta, mi dovevo muovere subito”. Forse un sintomo che anche in Francia, dove il Sindacato dei viticoltori indipendenti a inizio stagione segnalava oltre 300.000 lavoratori stagionali necessari, la carenza di manodopera può provocare storture nelle condizioni lavorative dei giovani braccianti.