Perché città a misura di anziani potrebbero aiutare i giovani

L’Italia invecchia e – pleonasmo – le sue città invecchiano con lei. In numeri: circa una persona su quattro nelle aree metropolitane ha almeno 65 anni e quasi un terzo vive tra la prima e la seconda cintura urbana. Sono più donne che uomini e la loro presenza è quintuplicata nell’arco di trent’anni. Entro il 2031, si stima una crescita compresa tra il 5 e il 20 per cento nei capoluoghi di regione. Insomma, gli anziani non abitano più in campagna e la città si deve preparare ad accoglierli. Ma il processo di adattamento è lento e, per comprenderlo, non bastano i numeri. Città a misura di anziano Nelle sale della biblioteca Valvassori Peroni di Milano un giovane volontario legge ad alta voce un romanzo a una platea di una dozzina di anziani. È il pubblico selezionato dal caldo estivo, che ha trascinato fuori dal capoluogo studenti e famiglie, lasciando molti over-65 alle prese con l’afa metropolitana. Il “patto per la lettura” è una delle strategie del comune per venire incontro alle esigenze di una città sempre più vecchia, ma non è sufficiente. Al Nord la frattura fra giovani e anziani è più grave: le città con il maggior numero di over-65 si trovano tutte a settentrione, eccezion fatta per Messina e Cagliari. E le loro esigenze sono nuove: “È un cambiamento senza precedenti, serve ripensare a una società della longevità” sintetizza Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, che richiama all’attenzione sulle fragilità. “Fra gli anziani c’è una grande componente di non autosufficienti che richiedono un’assistenza di prossimità non interna alle case di riposo, che sono un modello che deve essere superato. L’idea è che gli anziani continuino a vivere la città nella propria abitazione, quando possono, in autonomia”. Tradotto: la cura degli anziani non è un affare delle Rsa. Perché i numeri non tornano: sono 3 milioni le persone con disabilità gravi in Italia, perlopiù over-65, e per loro anche raggiungere un supermercato è un’impresa. Secondo un indice realizzato nell’ambito del Centro studi delle Camere di Commercio, solo 4 italiani su 10 hanno a disposizione un punto vendita alimentare a 15 minuti di cammino da casa. Con risultati che peggiorano al Nord . Se a questo aggiungiamo che – laddove autonomi – gli anziani vivono spesso senza figli, “il rischio di sentirsi soli nelle grandi città è moltiplicato” commenta Rosina. Sfatiamo il mito dei borghi fatati A Monteverde, nella campagna avellinese al confine con la Basilicata, un percorso senza barriere si arrampica fino al castello medievale in cima al paese. È l’unico castello al mondo accessibile autonomamente, grazie a indicazioni ad hoc, per non vedenti e non udenti. Un paradiso per la popolazione anziana che, però, negli altri borghi d’Italia si trova spesso incastrata senza servizi e assistenza. “Non esiste una positività delle aree interne – osserva Rosina – perché l’area interna si trova con una componente di anziani maggiore dovuta al fatto che sono i giovani ad andarsene”. Con la beffa, ancora una volta, di rimanere soli oltre che isolati. “Dove rimane quasi solo la componente anziana, nulla è più sostenibile dal punto di vista dei servizi sociali. I borghi non sono dei piccoli Eden”. Le città a misura di anziano attirano i giovani Sembra un paradosso: costruire città attorno agli anziani potrebbe essere la via migliore per attirare i più giovani. Eppure, la formula funziona perché la convivenza fra generazioni è spesso un successo. A partire dalle mura di casa. A Padova, cinque studenti universitari hanno partecipato alla sperimentazione di coabitazione intergenerazionale offerta dal comune. Con loro, abitano da oltre un anno altrettanti over-65 che mettono a disposizione appartamenti a prezzi accessibili in cambio di compagnia e nuovi stimoli. Il progetto è in piedi da un anno e promette di allargare la propria platea. Ma il suo successo, secondo il professor Rosina, sta soprattutto nel dimostrare che “le città che funzionano tendono a essere attrattive per i giovani”. Al di là del co-housing, la dinamicità di una metropoli per anziani si misura nell’organizzazione dei suoi quartieri: “È fondamentale valorizzare il tessuto comunitario. In condizioni di benessere, di salute e di disponibilità di tempo, l’anziano può essere una ricchezza per la città. Ma, per esserlo, dobbiamo dare vita ai quartieri”. Dove tutte le generazioni possano “ritrovare vitalità”. Il dilemma economico C’è un elefante nella stanza. Una popolazione vecchia è una popolazione che lavora poco e che produce meno ricchezza. Nei centri cittadini, dal 2012 al 2023, sono scomparsi oltre 111mila negozi al dettaglio e 24mila attività di commercio ambulante. In parallelo, non fanno che nascere nuovi alberghi e ristoranti . Gran parte di questo commercio è stato assorbito dalla sua controparte online, ma una fetta sempre più grande di piccole e medie imprese sta andando persa per la difficoltà nella trasmissione di saperi. “Ci sono dei lavori artigianali svolti da persone che stanno diventando anziane – ragiona Rosina – che poi chiudono il negozio di famiglia perché non sanno a chi insegnare il mestiere. Anche in questo caso, la città potrebbe favorire queste felici combinazioni. I giovani possono imparare molto dalla tradizione e innovarla con le nuove tecnologie, aprendo anche al mercato internazionale”. Spezzare questa catena, sotto il peso dell’inverno demografico, sarebbe un peccato.

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