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Vi racconto perché senza Ius Scholae restiamo diversi

Cronaca

Liban Mohamed Ali - Per ScuolaZoo

©IPA/Fotogramma

Sono un cittadino italiano soltanto dal 7 giugno 2023. Per anni ho vissuto in un limbo che mi ha privato di molte opportunità e mi ha fatto affrontare problemi che i miei amici "italiani doc" non hanno mai neppure immaginato. Vi racconto la mia storia

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I miei genitori vivono in Italia da oltre vent'anni. Sono entrambi stranieri, lavorano in regola, pagano le tasse e sono cittadini onesti. Hanno un figlio - il sottoscritto - nato in Italia, che ha frequentato le scuole italiane fin dall'infanzia ed è madrelingua italiano. Cosa ci manca per essere una bellissima famiglia italiana? Niente. Ma l’Italia ha avuto altri piani per noi.

 

Mi chiamo Liban, ho 18 anni e sono un content creator di ScuolaZoo, una community di studenti molto seguita dai giovani. Frequento le superiori e sebbene io abbia vissuto praticamente tutta la mia vita in Italia insieme ai miei genitori, perfettamente integrati, sono un cittadino italiano soltanto dal 7 giugno 2023.

 

L'attuale legge sulla cittadinanza si basa sul principio dello ius sanguinis, che lega la cittadinanza a quella dei genitori. Un criterio che esclude chi, come me, è cresciuto in Italia da genitori stranieri.

 

Ultimamente si è tornati a parlare dello Ius Scholae, una riforma che consentirebbe l’acquisizione della cittadinanza al completamento di un ciclo di studi in Italia. Non è la prima volta che se ne discute e, anche stavolta, sembra che la proposta sia tramontata nel giro di qualche giorno, ma credo sia fondamentale ribadire in tutte le sedi possibili che lo Ius Scholae cambierebbe in meglio la vita di decine di migliaia di ragazze e ragazzi che, in questo momento, stanno vivendo nello stesso limbo in cui io ho vissuto per quasi 18 anni.

 

Un limbo che mi ha privato di molte opportunità e mi ha fatto affrontare problemi che i miei amici "italiani doc" non hanno mai neppure immaginato.

 

A 14 anni, per esempio, sono stato costretto ad aspettare quasi un anno per ottenere un certificato dal comitato sportivo etiope per potermi tesserare con una società e giocare a basket, il mio sport preferito.

 

E questa non è stata l'unica rinuncia forzata: la mia scuola mi ha offerto in più occasioni la possibilità di partecipare agli scambi linguistici con altri Paesi, ma purtroppo non ho mai inviato la mia candidatura nonostante la mia media e le mie competenze lo permettessero.

 

Per non parlare delle tante occasioni in cui, durante le lezioni, venivo chiamato in segreteria per delle questioni burocratiche di cui i miei amici non hanno mai sentito parlare.

 

Possono sembrare piccole cose, ma tutte queste esperienze mi hanno fatto sentire "diverso" dai miei compagni, come se mi mancasse qualcosa rispetto a loro.

 

Ma ora basta parlare di me. Parliamo della mia famiglia. Come ho raccontato all'inizio, i miei genitori biologici sono entrambi stranieri, ma non ho ricordi di mio padre, anche se mia madre me ne ha parlato quando sono cresciuto. Malgrado questa assenza, non mi è mai mancata una figura paterna grazie a mio padre "acquisito", anche se non mi piace usare questa parola: un genitore non è chi ti mette al mondo, ma chi ti cresce. Mio padre e mia madre sono sposati e così, dopo "soli" quattro anni dal loro matrimonio mia madre è diventata cittadina italiana dandomi la possibilità di richiederla a mia volta grazie allo ius sanguinis.

 

 

 

 

In questo momento, in Italia, ci sono tante ragazze e ragazzi che stanno vivendo nello stesso limbo in cui ho vissuto io. La concessione della cittadinanza è un loro diritto, non un privilegio o un capriccio: se vogliamo davvero combattere la discriminazione, il bullismo e promuovere l'inclusività, dobbiamo iniziare con l'equità dei diritti.

 

Quando racconto questa storia, so che c'è qualcuno che si rispecchia nelle mie parole e spera in un lieto fine. A tutti voi, a tutti gli "stranieri nel proprio paese": resistete, lottate per ciò che è giusto e non arrendetevi. Il vostro giorno arriverà.