Erri De Luca: "I giovani ecologisti sono i profeti del nostro tempo"

“Io ho un difetto, non riesco a elaborare il lutto, non riesco a congedarmi. Io invecchio, ma il lutto no. Per me è sempre il giorno uno del dolore, poterlo nominare è come una convocazione. Mi sembra di stare insieme al mio amico che non c'è più, mentre rispondo a queste domande”, confessa Erri De Luca. Lo abbiamo incontrato al Festivaletteratura di Mantova dove ha presentato il suo ultimo libro “Discorso per un amico”, edito da Feltrinelli. Quell’amico che ha la sensazione di avere accanto durante la nostra intervista è la guida alpina Diego Zanesco, che ha perso la vita nell’estate del 2023 precipitando dalla Tofana di Rozes. Doveva essere un discorso da pronunciare il giorno del funerale, ma De Luca, lo scrittore dei periodi brevi, capace di concentrare l'essenziale in poche parole, per una volta non è riuscito a mettere un punto. “Ho continuato a scrivere perché non volevo lasciarlo andare”. Un libro che non era nei piani, che non avrebbe mai voluto pubblicare. La scrittura è terapeutica? Io scrivo per tenermi compagnia. Mi aiuta a vedere meglio la realtà, a capire meglio le impressioni che ricevo dalla vita. Riesco solo così a mettere a fuoco e a vedere le cose, anche quelle che sono sotto ai miei occhi. La scrittura, però, è chirurgica, non terapeutica. Può essere estremamente lesiva. Ti ferisce di più vedere le cose in maniera più precisa rispetto all’indefinitezza di un dolore. Nominarlo significa vederlo in alta definizione e questo può essere un accanimento. Cos’è per lei l'amicizia? Per i canali sociali di oggi si dà per amico chiunque abbia incrociato qualche opinione insieme. L'amicizia è qualcosa che mi succede molto raramente ed è estremamente fragile. Un amore può essere improvviso e fondare una vita, ma le amicizie hanno bisogno di assestarsi lentamente. E sono delicate perché basta una slealtà, anche piccola, per farle crollare. A me è capitato spesso di interrompere delle amicizie per piccole slealtà. L’amicizia tra uomini è spesso raccontata come qualcosa di duro, ai limiti del machismo. In questo libro lei racconta un’amicizia delicata e poetica. Siamo stati tutti e due scalatori. Lui in grande scalatore, io un praticante. Ma siamo stati prima di tutto entrambi dei lettori. Lui leggeva continuamente durante il suo lavoro di guida alpina. La nostra è stata un’amicizia fondata su circostanze imprevedibili e non codificabili ma è andata così. È stato un legame solido. Posso affermare che ci siamo detti tutto per tempo. Io ora sono custode della sua memoria. Cosa ci racconta questo libro della fase della vita in cui lei si trova? Continuo a disseminare le mie storie. Questo libro, però, non avrei mai voluto scriverlo. E poi c’è la natura che è più di uno sfondo in “Discorso per un amico”. Faccio una differenza per il mio vocabolario tra natura e ambiente. “Ambiente” è quello che abbiamo intorno in questo momento, in questa piazza. Natura è quello in cui noi non ci siamo proprio, in cui la nostra presenza è così insignificante da essere nulla. In questa natura noi siamo a contatto con l’eternità e con una storia che non ci riguarda affatto, perché siamo gli ultimi arrivati su questa superficie millenaria, dove è inevitabile correre dei rischi perché non è un posto fatto per noi. In questa natura in cui ci si sente così esposti e così minuscoli, riesco ad avere una notizia precisa sulla mia taglia: sono un granello e non meno di questo. Un granello perché non sono già polverizzato. I ragazzi che stanno combattendo per difenderla sono rivoluzionari? Per me sono profetici e i profeti sono sempre ridicolizzati, sono sempre trattati da rompi scatole. E poi sono pochissimi. Sono una minoranza che penso si porterà dietro il mondo. Mantova è un luogo di incontro della cultura italiana. Cosa pensa del caso Sangiuliano? Non penso proprio nulla di questa vicenda. Disinteresse nei confronti delle cose della politica? Questa la chiamerei in tanti modi, ma non di certo politica.