Ma Sharon Verzeni non è stata uccisa per caso

“La coincidenza è il modo che ha Dio di restare anonimo”. Opinione di Albert Einstein che, sebbene non credente, tirava spesso per la giacca il Creatore. Qui allude alla possibilità che nelle coincidenze si nasconda una regia. Mi è tornata in mente nelle scorse ore, quando la persona arrestata per l’omicidio della povera Sharon Verzeni pare abbia detto di avere ucciso senza una ragione, “tanto per farlo”. Per caso, insomma. Il caso, tuttavia, esiste raramente allo stato puro e non di rado si alimenta delle complicità, delle azioni e delle omissioni, degli esseri umani, che lo favoriscono e lo indirizzano. Complicità non sempre facili da cogliere per noi che abbiamo smesso di guardare, di osservare, che rifiutiamo di prendere atto della fine di un mondo incasellato, oramai alle spalle per sempre, come lo è lo stesso concetto di malattia mentale, sgusciato fuori dalle categorie classiche trasformandosi - da lago che era - in oceano. La causa è l’allargamento della sofferenza esistenziale, in salita vertiginosa, parcheggiata in una terra di mezzo da dove però migra in quantità sempre più cospicue verso il peggio. Il dramma di Terno d’Isola appartiene a questa guerra silenziosa, in cui il disagio crescente, privo di contrasto, si abbatte su vite innocenti. Se ripassiamo la cronaca degli ultimi tempi, incontreremmo frequentemente questi esiti che, appunto, non arrivano dal caso bensì da un malessere nuovo e generale, sottile e velenoso, impossibile da contrastare invocando, in assenza di idee e di competenze, pene esemplari. Ma gli episodi clamorosi, che assurgono al palcoscenico della cronaca, sono solo una manciata rispetto alla realtà minuta che inchioda milioni di persone. Questa estate mi sono trovato di fronte una coppia di genitori disperati, con un figlio trentenne fuori controllo da settimane, che minacciava azioni violente, mentre i servizi psichiatrici erano al completo e con parte del personale, giustamente, in ferie. “Arriva dagli Usa un’altra epidemia: migliaia di morti per mancanza di senso”. Così titolava quattro anni fa un importante quotidiano italiano. Eravamo in pieno Covid-19 e quelle parole, provocatorie, rappresentavano l’avanguardia di un testo molto drastico. “Arrivano dagli Usa, storica avanguardia delle tendenze che poi invaderanno gran parte del mondo economicamente avanzato, segni nefasti: uno dei più tragici è legato alla diffusione delle morti per disperazione. Una vera e propria epidemia che ha visto, solo negli Stati Uniti, nel 2017, morire 158.000 persone di suicidio, overdose o malattie correlate all'abuso di alcool”. Un esercito di infelici, che si sono congedati dalla vita volontariamente, persone spesso non ancora malate ma per tanti versi più gravi, perché non trovare un posto nella vita, avendo consapevolezza di questa frattura, percependola ogni giorno dentro di sé, può essere peggio che sperimentare una psicosi. Quasi 160 mila morti, esistenziali, in un solo anno, negli Stati Uniti, una cifra modesta se rapportata alla piattaforma di disagiati, sconfinata e invisibile all’uomo veloce e distratto di oggi, una pletora di cui fanno parte persone molto simili all’uomo che ha ucciso Sharon, a meno che qualcuno non sia così audace da considerare pienamente normale un individuo che gira “per caso” con quattro coltelli, “cercando, come leone ruggente, chi divorare”, desideroso di ammazzare la prima persona che gli capita a tiro. Questa non è normalità, anche quando fatica a trovare spazio all’interno delle categorie diagnostiche dei manuali più avanzati, perché troppo piccoli per contenere la miriade di tipologie rovesciatesi sulle comunità. Per questa folla di infelici non c’è accoglienza, non c’è servizio pubblico che possa prenderne in carico i soggetti, e non è colpa di chi lavora in questi luoghi, semmai della sproporzione enorme tra i bisogni crescenti delle famiglie e l’offerta misera sul territorio. Chiedete, ad esempio, alle assistenti sociali, la prima barriera di contrasto al disagio personale, familiare, sociale, quanto tempo impiegano prima di “bruciarsi”, poste quotidianamente a mani nude di fronte a imprese impossibili. Le persone che invocano misure esemplari, invece di dare risposte concrete ai problemi della comunità, non ci servono. Se vogliamo salvare tante Sharon, dobbiamo parlare della realtà, non di quel simulacro ideologico che ciascuno si costruisce per sentito dire, frutto di soggettività esasperate dalla furbizia. Nei giorni scorsi mi sono confrontato con un medico di famiglia, una donna appassionata e lucidissima, poco incline al clamore. Le chiedevo quante persone, tra i suoi 1750 pazienti, erano nell’orbita della sofferenza esistenziale e psichiatrica. “Ci sono circa 50 psicotici, ossia malati mentali gravi, 200 depressi, la patologia più diffusa. I farmaci più venduti sono proprio gli antidepressivi”. Anche questo è uno dei motivi per i quali nessuno vuole più fare il medico di famiglia, una figura senza la quale salta un’altra barriera fondamentale. Una giovane dottoressa, 35 anni, massimalista, mi comunica di essersi dimessa, travolta dalla solitudine di una professione diventata tanto esigente da piegare i sogni di una vita, defezioni che creano altra solitudine tra le persone comuni. La povera Sharon Verzeni è vittima anche di questo, non certamente del caso. Un quadro non privo di colpevoli, che spesso preferiscono dibattiti allo studio. Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, rappresenta una voce autorevole nel panorama della psicologia italiana. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra questi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, fino ai recentissimi “Volere Bene. La mente e il cuore” e “Individualisti si cresce" . Nella sua produzione sono presenti il romanzo di formazione “La casa di Henriette” e la collana illustrata di psicologia “Crescere senza effetti collaterali” , quest’ultima tradotta in diversi Paesi, ultimo dei quali la Cina. È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/