L'estate nera dei Pronto soccorso: "Una situazione già precipitata"

Tra carenza cronica di personale, le ferie di medici e infermieri, quelle dei medici di medicina generale e l’aumento dei pazienti cronici anziani, lo stress nei pronto soccorso delle grandi città Italiane è aumentato nei mesi estivi. Una situazione che peggiora di anno in anno, senza che si riesca a trovare una soluzione definitiva. Anche perché l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei pazienti cronici rendono sempre più spesso i pronto soccorso luoghi di assistenza socio sanitaria. Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina di emergenza urgenza e direttore della Struttura Complessa di Medicina d’Emergenza-Urgenza 1 dell’Ospedale Maria Vittoria Asl Città di Torino, ha uno sguardo di insieme sulla situazione nei pronto soccorso italiani e da tempo lancia un allarme preciso. L’estate non è ancora finita ma che percezione avete, ad oggi, della situazione nei pronto soccorso delle città italiane? È ancora presto per fornire dati precisi. Tradizionalmente in estate il panorama dei pronto soccorso italiani si sdoppia: esplosione degli accessi nei luoghi di vacanza, flessione nelle città che tendono a svuotarsi. Senza dubbio quest’anno la flessione è stata molto meno evidente. Rispetto al periodo estivo dell’anno scorso registriamo un incremento di almeno il 5%: percentuale che può sembrare modesta ma che esprime molte migliaia di pazienti. Poi, come al solito, al dato quantitativo va aggiunto un dato qualitativo: vediamo crescere gli accessi di persone anziane, con situazioni cliniche rese complesse da multipatologie e cronicità, ma anche con situazioni socio-assistenziali difficili da risolvere, dovute a isolamento sociale, solitudine, assenza di una rete di prossimità. Sono tutte situazioni di complessità che spesso determinano una lunga permanenza di questi pazienti nei Pronto Soccorso e hanno necessità di interventi non clinici che tardano più del solito a causa del periodo estivo. Insomma, l’impegno necessario è superiore rispetto a quanto espresso dal solo dato numerico. Siete riusciti a gestire le ferie? Come sempre riusciamo ad arrivare alla fine dell’estate senza aver chiuso servizi: questo non significa che la gestione sia stata semplice o indolore. In molti casi le ferie sono state rimodulate, contenute, per consentire a tutti di godere di un periodo. Chi è rimasto, come sempre, si è sobbarcato un impegno maggiore del solito. E in molte situazioni i primari, contrariamente alla norma, si sono dovuti inserire nei turni per consentire le ferie: non sarebbe un problema, se non fosse che in questa maniera vengono a mancare tutte quelle funzioni di organizzazione e controllo che invece restano cruciali, anche in periodo estivo. La carenza e l’emorragia dei medici di emergenza-urgenza va avanti ormai da anni, cosa sta succedendo? Perché non si riesce a invertire la rotta? Perché fino a che non verrà garantita la giusta valorizzazione del lavoro in emergenza-urgenza sarà sempre così: ogni giorno i giovani che frequentano il pronto soccorso mi ripetono quanto sia appassionante il nostro lavoro e quanto volentieri lo abbraccerebbero come progetto a lungo termine se solo avessero garanzie maggiori per il futuro, in termini di qualità di vita e di ritorno economico. In più questo nostro ruolo obbligato di “tappabuchi”, la necessità di doversi far carico di ogni carenza del Servizio sanitario , moltiplica le difficoltà e la frustrazione dei professionisti: ti ritrovi a fare un lavoro non tuo, sapendo di non riuscire a dare la qualità che sarebbe dovuta. Chi deve fare una scelta di vita di tutto questo non può non tenere conto. Con il mancato turn over secondo lei quando precipiterà la situazione? Perché, non è già precipitata? Dobbiamo solo capire qual è il livello che non si vuole superare: in realtà in questi anni continuiamo a spostare quel livello. Gestire pronto soccorso importanti, con grandi numeri di accessi, con il 50% di carenze di professionisti, rimpiazzati da figure professionali le più disparate, secondo me significa che la situazione è già precipitata. Quando l’obiettivo principale è riempire le caselle dei turni, invece che provvedere alla qualità del servizio e alla sicurezza dei pazienti siamo già in una situazione precipitata. Possiamo dire che è una emergenza di cui il governo non si sta occupando? Spiace dirlo, ma sì: ripetiamo allo sfinimento che attendiamo un progetto, o almeno l’apertura di una fase di rifondazione dell’intero SSN. Le liste d’attesa non possono essere l’unico obiettivo degli interventi. Ma sulla grande questione del futuro del SSN non vediamo tentativi concreti. Che soluzioni proponete? Nessuno ha la soluzione in tasca, ma è evidente la necessità di affrontare temi cruciali: la restituzione alla cittadinanza di una medicina di prossimità, la modernizzazione degli ospedali di comunità, la riforma profonda del sistema delle specializzazioni immettendole al più presto nel Servizio, una linea nazionale comune sull’emergenza pre-ospedaliera, l’articolazione interna all’ospedale di molte discipline, compresa la nostra che ha l’assoluta necessità di poter contare su letti di terapia semi-intensiva ovunque, l’ottimizzazione dell’offerta degenziale dell’intero sistema, per primo, naturalmente, l’ospedale. Potrei continuare. Ma quando cominceremo a occuparcene? Sono anni che i professionisti hanno individuato le molte criticità, ma continuiamo a redigere elenchi di cose da fare, senza aver mai iniziato seriamente a lavorarci. Servono discussione e confronto, ma poi servono sintesi, scelte e provvedimenti: cose che solo la politica può fare.

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