Scuola, aumentano gli alunni con disabilità. Ma perché?

Secondo l’ultimo report Istat, nell’anno scolastico 2022/2023 gli alunni con disabilità che frequentano le scuole di ogni ordine e grado sono circa 338mila, il 7% in più rispetto all’anno precedente. Ma in che modo vengono conteggiati, e quindi definiti, gli alunni con disabilità? Quali sono i motivi che hanno portato all’aumento della loro presenza? E quante scuole sono preparate a permettere loro di frequentare le lezioni e in che modo? Ecco qualche risorsa per interpretare in maniera più consapevole e approfondita le ultime rilevazioni, grazie anche alle spiegazioni di Eleonora Marocchini, psicolinguista e ricercatrice indipendente presso IGDORE nell'ambito della comunicazione pragmatica e della cognizione sociale nello spettro autistico e nella neurotipicità. I dati Istat Il report Istat prende come collettivo di riferimento per la sua rilevazione sull’inclusione scolastica gli alunni “che in base alla diagnosi funzionale redatta dalla ASL hanno la necessità di essere supportati nella didattica da un insegnante per il sostegno”: restano esclusi dal conteggio quindi tutti gli studenti che, secondo la definizione fornita dall’Istituto, “pur avendo una limitazione, una menomazione o un problema di salute, non hanno necessità di un sostegno". Come segnala Marocchini, di conseguenza, “è probabile che gli alunni disabili siano in realtà di più perché, sebbene possa capitare che si dia il sostegno a chi non ne ha bisogno, molto più spesso non si concede il sostegno a chiunque ne abbia bisogno. Allo stesso tempo, è realistico che siano rimaste fuori dal campione persone le cui disabilità hanno un impatto inferiore sulle loro capacità scolastiche”. L’aumento che quindi viene rilevato dall’Istat potrebbe essere superiore al 7%, dato che esisterebbe quindi una percentuale di alunni con disabilità a cui non viene assegnato un insegnante di sostegno o che non sono stati riconosciuti come disabili, perché non hanno iniziato un percorso diagnostico. “Esiste un grande sommerso tra i bambini disabili, e in particolare quando parliamo di disabilità non fisiche o sensoriali, come l’autismo o il disturbo da deficit di attenzione, perché per iniziare il percorso che porta alla diagnosi c’è bisogno, da un lato, che il bambino manifesti attraverso il comportamento il modo in cui funziona il suo cervello, e dall’altro che il genitore riconosca questi comportamenti meritevoli di attenzione clinica”, spiega Marocchini. La metodologia della rilevazione, tuttavia, non invalida il fatto che l’aumento del numero di alunni disabili esista e che dipenda da diversi fattori. In una nota, lo stesso Istituto di ricerca afferma che l’incremento può essere spiegato in base a “una maggiore attenzione nel diagnosticare e certificare la condizione di disabilità tra i giovani, un aumento della domanda di assistenza da parte delle famiglie e una crescente sensibilità del sistema di istruzione ordinaria verso il tema dell’inclusione scolastica”. “Grazie alla ricerca, esistono nuove definizioni per una serie di disturbi e sono aumentati anche i percorsi diagnostici. Ma non per questo è necessario prendere questi dati, che in realtà sono stime realizzate a campione, come un fattore di allarme”, spiega la ricercatrice, citando l’esempio dell’autismo e della sindrome di Asperger, che fino al 2013 erano considerati come categorie diagnostiche diverse. Oggi entrambi confluiscono nella categoria dei disturbi dello spettro autistico, che di conseguenza risulta più ampia rispetto a circa dieci anni fa. Le ragioni dell'aumento Ma i cambiamenti nella classificazione dei disturbi sono solo uno dei motivi che spiegano l’aumento di diagnosi. “Facciamo più ricerca scientifica, e in maniera anche più veloce rispetto al passato, perché il mondo della ricerca impone a chi ci lavora di pubblicare costantemente per mantenere la propria posizione”, aggiunge Marocchini, segnalando però che l’attenzione sui disturbi del neurosviluppo è dovuta sia all’attivismo delle persone autistiche che a una nuova consapevolezza sociale. “Le condizioni del neurosviluppo sono emblematiche della complessità delle interazioni tra genetica, ambiente e società. Tante persone non hanno una diagnosi da disturbo da deficit dell’attenzione, ma ci si rivedono, perché sentono di ricevere una quantità di stimoli dalla società che non riescono a gestire. Ci stiamo accorgendo che vivere nella nostra società non è facile. E quando la società non si prende le sue responsabilità per questo, è comprensibile che le persone inizino a cercare in sé stesse e quindi ad avviare sempre più percorsi diagnostici, che a loro volta, in alcuni casi, portano a un aumento delle diagnosi”, aggiunge la psicolinguista. Problemi di struttura Di fronte all’aumento di alunni disabili, le scuole italiane non si dimostrano strutturalmente pronte a permettere loro di seguire le lezioni: solo il 40% risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria, mentre per quelli sordi o ipoudenti la percentuale scende al 16,7%. Infine, le scuole che dispongono di mappe a rilievo e percorsi tattili per persone cieche o ipovedenti sono ancora meno: circa 1,2% del totale in tutta Italia. Al di là delle barriere fisiche, che restano comunque un ostacolo significativo alla partecipazione degli alunni con disabilità alla vita scolastica, esistono anche altre difficoltà meno evidenti, perché non legate alla dimensione fisica o sensoriale. Per gli alunni neurodivergenti, il cui cervello funziona in modo diverso in uno o più modi rispetto a quelli considerati standard o tipici esistono molti modi in cui rendere la didattica più accessibile. Alcuni esempi sono costruire lezioni interattive, all’inizio delle quali vengono presentati i vari argomenti che si andranno a toccare, ma anche combinare aspetti visivi, scritti e orali, accompagnando le spiegazioni con la scrittura di parole chiave alla lavagna o la proiezione di immagini. “Ci sono bambini per cui queste misure sono un bisogno. E ce ne sono altri per cui magari non sono necessarie, ma preferibili, perché supporterebbero comunque il loro apprendimento. Per questo, il cammino verso una scuola realmente accessibile passa anche e soprattutto da un aggiornamento della didattica”, conclude Marocchini.