Analfabeti sentimentali, anche un like può distruggere

È uscito di casa con un coltello a serramanico in tasca, ha incontrato il “rivale” nella strada dietro al campetto parrocchiale e lo ha accoltellato più volte: a una gamba, all'addome e a un fianco. Dietro alla violenza sfogata da un ragazzino di 13 anni di Recco, Genova, su un coetaneo di 14, c’era “solo” un like sui social che la vittima aveva messo alla foto dell’ex fidanzatina dell’aggressore. Una storia che ha sconvolto la piccola comunità ligure, ancora sotto choc. Il 14enne è ricoverato dopo un delicato intervento chirurgico servito a suturare le ferite e rimuovere la punta del coltello, mentre l’aggressore è stato affidato in custodia ai genitori. Una storia angosciante, che affonda le sue radici nel mondo “facile” dei social, ma soprattutto nel controllo e nel possesso: “Oggi, per quanto sia doloroso da riconoscere, stiamo assistendo a un rigurgito della cultura patriarcale anche nelle nuove generazioni in cui la donna è un oggetto che deve essere solo mio, come ci hanno dimostrato anche le parole di Filippo Turetta” dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, spiega a Sky TG24 lo psicopedagogista Stefano Rossi, che approfondisce il tema nel libro “Sentimenti maleducati”, in uscita il 27 agosto per Feltrinelli. “La tesi è che l’amore si può, e si deve pensare con i ragazzi”. Un ragazzino di 13 anni che accoltella un coetaneo per il like alla foto di una ragazzina. Cosa ci dice questa vicenda? Ci ci aiuta a capire nella sua drammaticità qualcosa di importante: la differenza tra emozioni e sentimenti, che spesso usiamo erroneamente come sinonimi. Le emozioni sono biologiche, nasciamo con almeno quattro circuiti emotivi , e sono una risposta immediata agli stimoli esterni. I sentimenti invece non sono figli della biologia, ma della cultura. Questo significa che l’amore, come l’amicizia - ma anche la gelosia patologica e il controllo - si imparano culturalmente. Dobbiamo cominciare a dire che i sentimenti si possono, e si devono educare. Perché l’analfabetismo sentimentale porta alla distruzione dell’altro prima, a quella di noi stessi poi. Recente è anche il caso di Thomas Luciani, ucciso a 16 anni con 25 coltellate da due coetanei a Pescara. Dove affonda le sue radici la violenza tra giovanissimi? Per spiegare l’inspiegabile della violenza dobbiamo comprendere l’importanza che ha lo sguardo del genitore: quando non è uno sguardo che ama, ma che pietrifica o trasmette vergogna, quella vergogna - che è un sentimento tossico - si deposita in profondità ed esplode come una bomba, riducendo in frantumi l’autostima del ragazzo. Il legame con la violenza si crea quando questi bambini, diventati adolescenti, incontrano una figura molto vulnerabile, come un compagno particolarmente fragile. In loro, come attraverso uno specchio, rivedono la loro vergogna interiore. E per via di un meccanismo inconscio tentano di distruggere quella dell’altro per eliminare la propria. La violenza scatta lì. Quanto valgono i like per gli adolescenti? Sono ‘valori’ su cui costruire o distruggere relazioni? Siamo nella società del “mi mostro, quindi sono”, ma questo bisogno di essere nello sguardo dell’altro si attacca a un bisogno emotivo profondissimo che c’è in ognuno di noi. Il bisogno di like del nostro tempo riflette infatti una fragilità dell’autostima che si trova anche in molti adulti che cercano di compensare un’assenza di riconoscimento affettivo che hanno subito in altri campi della loro vita. Questo aspetto nei ragazzi è amplificato. Internet diventa il luogo in cui la loro parte bambina da cui non riescono a emanciparsi fa di tutto per ottenere questi like, e sentirsi accettata. Rifugiarsi sui social è anche un modo per non affrontare il mondo reale?Assolutamente sì, è un meccanismo di difesa. Per molti adolescenti i social rappresentano un luogo del riparo. Perché - se escludiamo la piaga del cyberbullismo - Internet è un mondo senza spigoli, dove se hai un confronto con qualcuno basta un clic per bloccarlo, se hai un corteggiamento che ti infastidisce puoi troncare ghostando l’altro. Ma se educhiamo i nostri figli a una crescita senza frustrazione non li abituiamo a vivere nel mondo reale, che invece è pieno di spigoli, fatiche e appunto frustrazioni. Quindi da una parte il mondo “facile” dei social, dall’altra la cultura del possesso anche tra i più piccoli. Quali sono i campanelli d’allarme? Nel caso del ragazzino che ha accoltellato il coetaneo, le red flags - le cosiddette bandiere rosse che segnalano un pericolo - hanno a che fare con il controllo possessivo dell’altro. Questo ci deve insegnare che quando ci rendiamo conto che qualcuno inizia a voler controllare uno spazio non suo – da come si veste fino ai like che mette sui social – dobbiamo allertarci, vederle quelle bandiere rosse. Da genitori come possiamo agire? Dobbiamo pensare l’amore con i nostri ragazzi. Spiegare loro che il controllo e la gelosia non sono una forma di amore, rappresentano invece il campanello di allarme del fatto che non si sa amare. L’amore si può - e si deve - spiegare ai ragazzi. L’amore si deve imparare, perché, come dicevo prima, è un sentimento culturale. Tra i giovanissimi c’è un equivoco sul significato di gelosia? Sì. Infatti suggerisco ai genitori un’immagine per spiegare ai ragazzi che esistono due tipi di gelosia: la gelosia custode e la gelosia killer. La prima è una positiva, quella che cerca un chiarimento o una connessione emotiva. La seconda invece è un buco nero. Allora quando riconosciamo le red flags della gelosia ossessiva e controllante l’unica cosa che dobbiamo imparare a fare è metterci in salvo, spiegando ai ragazzi che l’amore non è mai violenza. Il concetto stesso di amore tossico è un errore linguistico: se ci distrugge non è mai amore.