In cosa consiste il "metodo Gambirasio" usato anche nelle indagini su Sharon Verzeni

Tre minuti esatti d’auto. Ci sono poco meno di due chilometri tra la scena del crimine del caso Verzeni e il luogo in cui, oltre 13 anni fa, vengono ritrovati i resti della piccola Yara Gambirasio. Tutto in un cuneo di territorio della Bassa Bergamasca, chiamato “l’Isola”, compreso tra i fiumi Brembo e Adda. Certo una coincidenza, che tuttavia non sfugge a nessuno: via Castegnate a Terno d’Isola – dove Sharon Verzeni tra il 29 e il 30 luglio scorsi cade sotto le coltellate del suo aggressore – è veramente vicina al campo di Chignolo d’Isola in cui, il 26 febbraio 2011, si concludono le ricerche della povera Yara. Quel giorno si spengono definitivamente le speranze della famiglia Gambirasio, ma si apre la strada, lunga e tortuosa, che porterà all’incriminazione del muratore di Mapello, Massimo Bossetti. Perché tra i reperti forensi del campo di Chignolo, sugli slip e i leggins di Yara, viene rinvenuto il DNA nucleare dell’assassino, definito dagli inquirenti “Ignoto 1”, che alla fine risulterà sovrapponibile a quello di Bossetti. Il "metodo Gambirasio" Il caso Verzeni sembra lontano dall’essere risolto, ma la vicinanza con il caso Gambirasio, ora, non sembra più un mero fatto di coincidenza geografica. Le indagini proseguono a diversi livelli: oltre alle investigazioni classiche e alle analisi dei tabulati telefonici gli inquirenti decidono di profilare il DNA ai residenti dell’intera area dove Sharon Verzeni viveva con il compagno, Sergio Ruocco. Non solo a conoscenti, amici e parenti. A tutti i residenti. In sostanza viene applicato il cosiddetto “metodo Gambirasio”: profilare il DNA di tutti coloro che siano vicini alla vittima, a qualunque titolo. Parliamo di vicinanza affettiva, di parentela più o meno stretta, di relazioni di vicinato o anche di semplice conoscenza. Test del DNA a tappeto Il “metodo Yara” si basa sull’analisi del codice genetico, a tappeto. Si prende in considerazione la sequenza delle basi azotate del DNA – adenina, timina, guanina, citosina – decisive per distinguere un individuo da un altro. Nella genetica forense si usa prevalentemente un tipo di test che va a indagare i cosiddetti “microsatelliti”, brevi sequenze di DNA composte da una a otto basi azotate, ripetute per un certo numero di volte. Il numero di queste ripetizioni caratterizza la nostra impronta genetica. Come funziona Il metodo prevede l’estrazione del DNA dal materiale organico di partenza, cioè dal nucleo delle cellule prelevate da bulbi piliferi, urine, sperma, sangue, saliva, ma addirittura dalle impronte lasciate su un oggetto: il cosiddetto “touch DNA”, il DNA da contatto. Grazie a un procedimento lungo e complesso che viene ripetuto per 20-30 cicli, da quantità minime si ottengono quantità di DNA utilizzabili in laboratorio. Nel caso della genetica forense è possibile confrontare filamenti di DNA di individui diversi per valutare se il DNA rintracciato coincide con quello di un possibile sospettato. Se eseguito correttamente, il test del DNA dà risultati attendibili. Come si collegò "Ignoto 1" a Bossetti Un lavoro immane, che però nel caso Gambirasio portò alla svolta clamorosa. A Bossetti si arrivò attraverso un percorso tortuoso, prelevando campioni a tappeto di codice genetico di tutti i maschi abitanti in quella zona. Si arrivò al frequentatore di una discoteca vicina al luogo del ritrovamento del corpo. Si scoprì che una parte del suo cromosoma Y era molto simile a quello di "Ignoto 1" – il “proprietario” del DNA ritrovato sul corpo di Yara. Dall’esame della cerchia familiare emerse che il profilo di quel ramo genetico correlato ai resti biologici rinvenuti sulla vittima apparteneva a Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno deceduto nel 1999. Guerinoni fu identificato come il padre di "Ignoto 1". Dalle investigazioni, tradizionali e scientifiche, si scoprì che l’assassino di Yara era figlio di una relazione segreta di Guerinoni con Ester Arzuffi, la donna il cui DNA nucleare corrispondeva esattamente alla metà materna del profilo di "Ignoto 1". Così si arrivò a Massimo Bossetti. Il finto controllo stradale e il test dell'etilometro La vicinanza tra i casi Verzeni e Gambirasio, che all’inizio sembrava una pura e triste coincidenza, non è mai stata così reale. Bossetti fu incastrato da un finto controllo stradale. Con l'etilometro venne prelevato il DNA dell’unico dei due figli maschi della Arzuffi che viveva in zona. Così, alla fine, fu verificata la corrispondenza del suo DNA nucleare con quello rinvenuto sui reperti del campo di Chignolo d’Isola. Certo il lavoro è lungo: in quel caso vennero profilati oltre 22mila Dna, in questo – l’omicidio Verzeni – non si sa quanti sarà necessario analizzarne. Viene da chiedersi quale stratagemma si inventeranno ora gli investigatori per prelevare il DNA dell’assassino di Sharon. Quando lo individueranno.