Emergenza carceri, il grido d'allarme dei suicidi

Mai così tanti suicidi in carcere nei primi sette mesi dell'anno dal 2004 a oggi. Il censimento dei decessi negli istituti di pena porta la firma del Dossier "Morire di carcere" di Ristretti Orizzonti, la testata che nasce nel carcere di Padova e che negli anni si è accreditata come fonte anche per l'associazione Antigone e molte relazione dei Garanti territoriali per i detenuti. I nomi dietro ai numeri Il conteggio totale aggiornato al 12 agosto raggiunge 66 morti in cella, quattro in agosto, 62 fino al 31 luglio. Lo stesso 31 luglio che segnava nel 2023 41 decessi, 42 nel 2002, circa la metà: 22 nel 2021, 31 nel 2020 e 29 nel 2019. Che questo apparisse già tempo fa come annus horribilis per i suicidi nelle carceri italiane era chiaro anche valutando i numeri che mensilmente arrivavano da tutti gli istituti. Gennaio e giugno hanno raggiunto quota 12 suicidi, luglio per ora raggiunge il valore massimo con 13, quasi uno ogni due giorni. Al di là dei numeri, ci sono anche i loro nomi. Si chiamavano Amin, Giuseppe, Lulzim, Khalil, Alessandro Patrizio, Mauro, Fabiano, Zdenko, Alexandru, Giulio, Fabrizio, Vincenzo, Fedi, Yousef, Giuseppe alcune delle ultime vittime. Hanno usato lacci delle scarpe o lenzuola per impiccarsi oppure si sono intossicati col gas del fornellino che hanno in cella. Qualcuno semplicemente ha rinunciato all'acqua e al cibo e la sua morte spesso è stata anche derubricata a "causa sconosciuta". "Il suicidio spesso è la fine inevitabile" Una delle ultime vittime è stato un detenuto di origine tunisina del carcere di Prato che s'è impiccato con il laccio che usava come cintura. I suicidi di detenuti alla casa circondariale della Dogaia sono saliti così a 4 negli ultimi 7 mesi, 3 in un mese in Toscana. L'uomo era stato trasferito da Pisa, "per motivi di ordine e sicurezza". Poco più di una settimana prima, a Prato un ragazzo di 27 anni si era ucciso con una corda rudimentale. Era il 29 luglio, ha atteso che il suo compagno di cella fosse impegnato in altre attività. È stato trovato agonizzante da uno degli agenti impegnati nel controllo del reparto di media sicurezza del carcere di Prato. Il detenuto è morto poco dopo l'arrivo in ospedale. Era un italiano di origine straniera residente a Viareggio dove viveva con moglie e figli: la sua condanna sarebbe scaduta nel 2032. "Il dramma di costui è il dramma di tutti i detenuti delle carceri italiane. Nelle carceri italiane non si può non morire in una situazione come quella attuale, in cui il sovraffollamento è un dato marginale se si vuole, perché in realtà manca di tutto. E il suicidio molto spesso è la fine inevitabile di una situazione drammatica come quella attuale", aveva commentato poco dopo il Garante dei Detenuti della Toscana Giuseppe Fanfani. Oltre la dignità Manca tutto, ma manca soprattutto la speranza di un futuro in un vuoto equamente distribuito su tutto il territorio nazionale. La mappa è molto, troppo, ampia: Prato, Biella, Salerno, Cremona, Rieti, Prato, Roma Rebibbia, Bologna, Venezia, Monza, Verona, Varese e Potenza sono alcune delle ultime città che hanno fatto da sfondo alla cronaca. Così come, restringendo il campo, si parla di morti in celle d'isolamento, reparti di ospedale e anche nei bagni del tribunale dove avviene l'udienza di convalida dell'arresto. Quello che sottolineano i Garanti territoriali delle persone private della libertà personale è che le morti in carcere sono il sintomo più conclamato di un senso di invivibilità degli istituti. All'inizio di agosto, uscendo da un incontro col Ministro della Giustizia Carlo Nordio, la Garante comunale di Roma Valentina Calderone aveva dichiarato: "C'è molto da fare in assenza di un minimo gesto di civiltà, cioè di un provvedimento deflattivo immediato che possa fare uscire quantomeno le persone che hanno una pena sotto i tre anni o di provvedimenti che riportino le carceri ad uno stato di legalità, visto che ci sono quasi 15.000 persone in più della capienza regolamentare. Ci sembra importante però rivedere immediatamente la circolare sulla media sicurezza, almeno in questo periodo, in cui le attività sono quasi tutte ferme e in molti istituti le persone stanno all'interno delle loro stanze anche per 20 ore al giorno. Bisogna prendere provvedimenti urgenti per quanto riguarda le condizioni igieniche sanitarie e soprattutto in alcuni istituti, fare quello che è possibile per rendere le condizioni di caldo e di sofferenza di questo momento più accettabili e riportare un minimo di vivibilità all'interno degli istituti penitenziari". L'estate nera L'emergenza caldo, infatti, sta rendendo esplosiva la situazione degli istituti. "Non si può continuare così: questa estate in carcere è uno stillicidio di morti e proteste. Al Governo chiediamo ancora una volta di adottare misure efficaci per ridurre in tempi brevi il sovraffollamento penitenziario. All'Amministrazione penitenziaria di garantire i minimi vitali nella vita quotidiana in carcere: dall'apertura delle celle di giorno e dei blindi di notte alla distribuzione di frigoriferi e ventilatori, alla moltiplicazione di telefonate e videochiamate", ha scritto il 29 luglio, il Garante delle persone detenute della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, impegnato in questi giorni in diversi interventi, a seguito delle proteste della popolazione detenuta. Un SOS lanciato anche dall'associazione Antigone che nella sua relazione del 23 luglio aveva evidenziato: "oltre che per l'aumento delle temperature, l'estate è da sempre uno dei momenti più critici e delicati per le persone detenute, perché rallentano le attività, e con esse spesso anche le procedure burocratiche, i volontari entrano meno di frequente". Circostanze verificate dagli osservatori di Antigone che hanno sottolineato come "un quadro desolante rispetto alle condizioni di detenzione di alcuni istituti, le quali peggiorano in maniera esponenziale a causa del caldo afoso". Storie di ordinario disagio E a proposito di documentazione, sempre la Garante per le persone private della libertà personale di Roma Valentina Calderone a fine luglio ha postato sulla sua pagina Facebook un'immagine del suo taccuino. Nella didascalia c'è il racconto di quanto ha osservato nell'istituto di pena. "Sono appena uscita da Rebibbia nuovo complesso, dove questa mattina è stato trovato impiccato un giovane uomo, come già successo altre 59 volte da inizio anno. Stava al G12, e quando sono arrivata le persone della sua sezione stavano scendendo nell'atrio e si sono ammassate sulle scale, rifiutando di rientrare nelle stanze per protesta. Insieme ad alcuni agenti ho parlato con loro, cercando di trovare una mediazione. Gli ho proposto di scrivere una lettera, che poi avrei mandato ai giornali, e di andare insieme in sezione a guardare lo stato delle celle. La foto qui sotto è una delle quasi dieci pagine di appunti che ho preso in meno di un'ora. Mi hanno portato a vedere i bagni con la muffa, pozzetti e frigoriferi che non funzionano, i buchi dai pavimenti da dove escono cimici e blatte, le finestre senza vetri e quelle talmente arrugginite da avere i cardini consumati, stanze in cui mancano stipetti e sgabelli, pensate per quattro persone e in cui vivono in sei, pareti scrostate da infiltrazioni e scarichi dei bagni che non funzionano. Tra gli altri, tutti che mi chiedevano la cortesia di segnarmi il loro nome sul quaderno, ho incontrato: un signore che aspetta da mesi che gli venga inserito uno stent cardiaco, un altro con diabete che ha perso la vista da un occhio e doveva essere operato, un signore di 74 anni che, oltre al resto, non riesce a usare la turca, un uomo cui hanno tolto un rene e che non hanno portato a fare i controlli, un giovane ragazzo che ad agosto diventa padre, ha il fine pena a ottobre e aspetta la risposta del magistrato per sapere se potrà stare con la moglie quando partorirà. Non è un'eccezione ovviamente, tutte le volte che entriamo in carcere a fare colloqui veniamo colpite da questi racconti. Ma a parte le vicende personali, le storie di vita e i problemi di salute, queste persone hanno il disperato bisogno di essere ascoltate, di essere viste. Mi chiedo dove stiano guardando le istituzioni che dovrebbero occuparsi di loro".