Dentro Airbnb in Italia, a vent'anni dal lancio della piattaforma

A quasi vent’anni della sua fondazione, Airbnb è molto lontana dalla piattaforma che era agli inizi. Nata nel 2007 nel salotto di casa di due dei fondatori, Brian Chesky e Joe Gebbia, che per primi decisero di munirsi di un paio di materassi gonfiabili e subaffittarlo ai visitatori in arrivo a San Francisco in occasione di un’importante conferenza annuale, oggi le conseguenze della piattaforma sul turismo e sul diritto all’abitare sono evidenti. Secondo uno studio pubblicato nel 2023 dal think tank Tortuga, infatti, a un aumento dell’1% della presenza di annunci di Airbnb in una zona specifica dell’Italia si verificherebbe in media un aumento del 6,7% dei prezzi delle case e del 5,7% per gli affitti. Eppure, ottenere dati precisi da Airbnb per analizzare i suoi cambiamenti nel tempo non è facile. La piattaforma non fornisce dati pubblici e non consente la visualizzazione completa degli annunci. Per questo, nel 2013 l’artista e attivista Murray Cox ha fondato Inside Airbnb, un progetto che mappa la presenza di Airbnb in numerose città e regioni del mondo. “Esistono anche altri progetti a pagamento che raccolgono dati su questa piattaforma, ma Inside Airbnb è diverso. I nostri dati rispondono ad esigenze dal basso: le città o le zone su cui ci concentriamo sono quelle dove c’è un movimento cittadino che ha bisogno e richiede questi dati”, spiega Alice Corona, Data Communication Specialist e membro dell’advisory board di Inside Airbnb. Sempre più "property manager" I dati sulla presenza di Airbnb in Italia si concentrano su sette città italiane e restituiscono un’immagine spesso diversa da quella che la piattaforma vorrebbe proiettare. Le sette città analizzate, infatti, sommano più di 96mila annunci e in tutte il numero di appartamenti in affitto supera il 60%. “Al di là dell’aumento quantitativo degli annunci, quello che osserviamo è una professionalizzazione degli host. Se all’inizio la narrazione della classe media che mette una stanza su Airbnb poteva funzionare, oggi quella fascia di persone è diminuita drasticamente a favore di appartamenti gestiti da veri e propri property manager o agenzie immobiliari”, spiega Sarah Gainsforth, giornalista e ricercatrice indipendente che si occupa di trasformazioni urbane, diritto all’abitare, diseguaglianze sociali, gentrificazione e turismo. A spingere gli host a trasformare Airbnb nel loro lavoro o lasciarlo in mano a un ulteriore intermediario ci sono numerosi fattori, tra cui le aspettative sempre più alte dei visitatori, che hanno iniziato a pretendere da loro un livello di ricettività simile a quello presente nelle strutture alberghiere. Al punto che oggi, su Airbnb, è possibile trovare anche stanze di hotel. “All’inizio l’industria alberghiera, anche in Italia, si è opposta ad Airbnb. Poi però, complice anche la domanda turistica che la piattaforma ha creato, il settore alberghiero si è mosso per costruire un nuovo tipo di offerta, soprattutto di appartamenti, per sfruttare il potenziale della piattaforma”, osserva Gainsforth. La durata e i costi Dal punto di vista della durata dei soggiorni su Airbnb, i dati ci restituiscono una maggioranza di affitti brevi, intesi come periodi inferiori ai 30 giorni. Le città dove la presenza di soggiorni superiori al mese è più intensa sono Milano, Roma e Firenze. “È un dato che non mi sorprende, perché rispecchia i luoghi in Italia dove affittare una casa o una stanza è diventato sempre più difficile o costoso. Penso anche agli studenti stranieri, che di fronte a un mercato degli affitti estremamente complicato finiscono per rivolgersi a Airbnb”, commenta la ricercatrice. Un’altra conseguenza della progressiva professionalizzazione degli host è l’aumento dei prezzi degli alloggi, che in tutte le città analizzate superano la media di 110 euro a notte, e che a Firenze arrivano a un massimo di 218 euro a notte. “Airbnb ha stravolto il mercato degli alloggi tradizionali, portando alla progressiva sparizione delle pensioni e degli hotel a uno o due stelle. Poi la stessa piattaforma ha subito le stesse conseguenze: una polarizzazione dell’offerta, che oggi o è scadente o molto costosa”, afferma Gainsforth. Super host Infine, il più grande cambiamento nelle dinamiche della piattaforma riguarda la quantità di annunci pubblicati da ogni host: in tutte le città analizzate, infatti, il numero di host che pubblica più di un annuncio supera quello degli host che ne pubblicano uno solo. “All’estero esiste una regolamentazione molto più netta tra locazione occasionale e imprenditoriale. In Italia la distinzione riguarda sostanzialmente il numero di immobili: a livello occasionale, è possibile darne fino a quattro in locazione con l’opzione della cedolare secca. Dai 5 in su, l’attività è considerata imprenditoriale. Ma parliamo ancora di classe media quando si possiedono quattro immobili da affittare? La narrazione di Airbnb non tiene più”, commenta Gainsforth. Tra gli host che pubblicano il maggior numero di annunci spiccano Italianway a Milano e IFlat a Roma, con rispettivamente 501 e 288 alloggi. “Ma si tratta solo della punta dell’iceberg: è impossibile risalire all’identità dei multihost, quindi nella stessa città o in città diverse, lo stesso host potrebbe avere anche 700 case. E spacciarsi comunque come un piccolo host da manuale”, conclude la ricercatrice.

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