10 anni di sbarchi: l'immigrazione tra picchi, accordi e rimpatri (pochi)

Un flusso costante. Con molti alti e bassi ma che non si arresta. A vederla così, con uno sguardo allargato, l’immigrazione via mare appare tutt’altro che un’emergenza. Se per emergenza intendiamo un problema che compare all’improvviso e richiede azioni straordinarie per essere affrontato. Perché invece, se guardiamo agli ultimi 10 anni, quella dei cosiddetti sbarchi sembra molto di più una nuova normalità. I picchi Il picco degli arrivi mensili sulle coste italiane risale all’ottobre 2016 quando al governo c’era Matteo Renzi: più di 27mila persone in 31 giorni. Un nuovo rialzo si ebbe nella primavera successiva . Fu proprio quell’esecutivo, Ministro degli esteri Marco Minniti, a siglare un accordo con la Libia , da dove allora partiva il maggior numero di migranti che contribuì a limitare gli sbarchi nei mesi e negli anni successivi. Per vedere l’immigrazione via mare ricominciare a salire nei numeri bisogna saltare al 2021, anno successivo allo scoppio della pandemia, quando nel frattempo a Palazzo Chigi si era insediato Mario Draghi. Era agosto 2022, poco prima delle elezioni che avrebbero portato Giorgia Meloni alla guida del governo, e oltre 16 mila migranti approdarono sulle coste italiane. Neanche la nuova presidente del Consiglio sarebbe però riuscita a limitare gli sbarchi. Non nell’immediato almeno. I flussi hanno continuato ad aumentare fino a raggiungere, nell’agosto 2023, cifre che non si vedevano da nove anni almeno: oltre 25mila sbarchi . Di fronte alla nuova “emergenza” anche il governo Meloni, come quello Gentiloni in precedenza, è ricorso alla carta dell’accordo internazionale. In questo caso con il nuovo Paese diventato epicentro delle partenze, la Tunisia, che resta uno degli stati da cui nel 2024 sono arrivati più migranti, dopo la Siria, luogo di guerra, e davanti a Guinea ed Egitto. Asili e rimpatri I governi passano dunque ma le questioni, se sono strutturali come questa, restano. E restano anche i nodi. Anche questi sempre gli stessi. Come noto, molti di coloro che giungono nello Stivale - qualunque mezzo scelgano, mare o terra - non hanno intenzione di fermarsi qui. L’Italia è stata sì il terzo Paese della Ue per richieste di asilo nel 2023, dietro a Germania e Francia. Ma l’Italia è anche il Paese Ue che ospita il numero più alto di migranti che fanno richiesta di asilo in un altro Stato sulla base degli accordi europei di Dublino. Nel 2024 sono state oltre 42mila le domande inviate ad altri Stati membri da migranti giunti nello Stivale. Erano state oltre 32mila nel 2022 e più di 24mila nel 2021. Per contro, nel 2023 è stata la Germania la destinataria del maggior numero di richieste “Dublino”: 74mila contro le 48mila della Francia e le 14mila del Belgio. Per l’Italia 7.800 circa. C’è infine la questione, delicata, dei rimpatri. Anche questa va avanti da tempo senza mutamenti sostanziali, governo dopo governo, indipendentemente dal colore e dalla retorica adottata dall’esecutivo di turno. Nel corso degli anni il nostro Paese ha emesso dagli 8mila ai 36 mila ordini di rimpatrio ogni anno. Ma solo una quota molto bassa di questi è stata di fatto eseguita. Nel 2023, per esempio, a fronte di oltre 26mila ordini, sono stati portati a termine 3.200 rimpatri, appena il 12% di quelli richiesti. In altri Paesi europei - come la Germania - la percentuale è molto più alta. In parte il divario dipende dalla differente nazionalità dei migranti che giungono nei vari Stati. Per poter rimpatriare un migrante è infatti necessario trovare un’intesa sul ritorno con il Paese di provenienza. Cosa non sempre facile con le nazioni africane da cui - come abbiamo visto - provengono in buona parte i migranti giunti in Italia.

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