Programmare oltre gli stereotipi, il mare tech di Darya Majidi

Il suo nome, in iraniano, significa “mare”. Il mare è quello del sogno di un mondo che dia alle ragazze, compresa sua figlia, le stesse possibilità che hanno i ragazzi. Darya Majidi è un’imprenditrice del tech e da 6 anni anche attivista, nata in Iran, a Teheran per la precisione, da madre istriana e papà iraniano, cadetto della Marina Militare dello Scià. “Si conobbero a Livorno, dove vivo attualmente, perché mamma era una degli esuli friulani arrivati fino in Toscana, mentre mio padre era stato inviato in Italia per addestrarsi – ricorda, mentre gli occhi si allargano in un sorriso che profuma di nostalgia - Sono tornati in Iran poco dopo, e fra Italia e Iran siamo nati io, le mie sorelle e i miei fratelli. È a Teheran che ho studiato, da piccola, anche se poi sono venuta in Italia per l’Università, alla Normale di Pisa, e mi sono specializzata in intelligenza artificiale”. Gender gap digitale, il paradosso italiano Sembra un paradosso, eppure in Iran, il Paese dove è stata uccisa la 22enne Masha Amini per non aver indossato correttamente il velo islamico, dove centinaia di attiviste e attivisti sono stati giustiziati e migliaia sono in prigione a causa delle proteste che sono scoppiate, la preparazione scientifica è molto forte. “Lo era alla fine degli anni ’60, lo è ancora di più adesso. Le ragazze studiano le materie tecnico-scientifiche libere da pregiudizi e stereotipi, possono andare anche all’estero a concludere il percorso universitario e di specializzazione, come ho fatto io. Anzi, vi dirò di più: sono proprio le famiglie e la scuola a spingere le bambine a diventare ingegnere, informatiche, matematiche, chirurghe. Il gender dream gap non esiste. Quando sono arrivata in Italia non capivo perché foste così arretrati su queste materie. Ricordo la valutazione finale nella pagella della terza media di mia figlia, che oggi studia matematica in Bocconi. I professori avevano scritto: si raccomandano materie umanistiche. Andai a chiedere spiegazioni, perché non mi sembrava che non fosse ‘portata’ per la matematica o le scienze. La risposta che mi dettero fu che era molto brava a scuola, e che quindi poteva fare ‘anche il classico’. Nella loro testa, insomma, era meglio che intraprendesse studi classici, perché è verso quelli che si indirizza, a prescindere, chi è più bravo e capace a scuola. Capite in quale circolo vizioso siamo immersi? Se non si incentivano le ragazze verso le materie scientifiche, anche quando sono ‘brave’ a scuola, finché non ci scrolleremo di dosso quest’idea, continueremo a vedere gli stessi numeri nelle iscrizioni alle facoltà tecnico-scientifiche. E non solo fra le ragazze, ma in generale. E’ questo, secondo me, il vero motivo che sta all’origine del fatto che le percentuali di chi sceglie questo tipo di percorsi di studio, fra le ragazze, è ferma da 10 anni a questa parte. Non si va avanti né indietro, non c’è un fisiologico aumento, come è avvenuto in tutti gli altri ambiti, penso a medicina e biologia, dove ormai le donne hanno oltrepassato il 70%. Ma questi sono percorsi che, nell’immaginario collettivo, si possono seguire anche con studi classici alle spalle. E’ surreale, ma in questo Paese se non si sanno le tabelline facciamo una risata, mentre se sbagliamo un congiuntivo ci mettono in croce”. A fotografare in maniera impietosa questa realtà di cui parla Darya Majidi ci sono i dati dell’Swc annual report, il database elaborato da Stem Women Congress ogni anno, la media dei laureati Stem è del 6,7%, contro un 12-13% europeo e le donne sono solo 1 su 3. Questa mancanza di competenze nei settori chiave, incide sulle opportunità di lavoro, sulla retribuzione, sulle possibilità di carriera. Oltre le discriminazioni: donne 4.0 “Sono il Ceo della mia azienda tech, che ho voluto e costituito alla fine degli anni ’90. Nel 2018, quando ho compiuto 50 anni, mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta: possibile che sia sempre e solo l’unica donna tech nei Cda delle aziende con cui lavoro?” Se fino a quel momento aveva fatto l’imprenditrice, l’informatica, dedicata alla carriera, qualcosa scattò nella sua testa: decise che doveva fare qualcosa. Doveva agire, perché aspettare che fossero gli altri a trovare soluzioni, ad aprire la strada alle donne, si era dimostrato un errore. “Forse dovrei parlare di un alibi. Sì, ecco, un alibi dietro al quale nascondersi dicendo ‘va beh, ma in fondo, io, da sola, cosa posso fare?’. È quando ho smesso di credere a questa storiella che sono diventata attivista. Ho scritto un libro intitolato “Donne 4.0”, che ho pubblicato attraverso Amazon. In pochissimo tempo, non chiedetemi come, perché ancora non l’ho capito neanch’io, da tutta Italia hanno iniziato a scrivermi, contattarmi, dicendo che anche a loro erano successe le stesse cose che racconto nel libro”. È stato una sorta di mee-too tech, in cui sono venute a galla le discriminazioni di genere subite sul posto di lavoro, durante il percorso di studi da insegnanti e professori, ma anche dalla famiglia, dal contesto sociale, dagli amici che al fratello regalavano i laboratori di meccanica e a te le bambole, mentre eri tu quella cui piaceva giocare con i robot, dai colleghi, dai capi del personale, dai dirigenti. “Alzi la mano la donna tech che, a inizio carriera soprattutto, non si sia trovata a dover rispondere a chi le chiedeva, in una riunione, quando arrivasse l’ingegnere: ‘sono io l’ingegnera’. Grazie all’ascolto e alla condivisione delle nostre storie personali, abbiamo capito che stavamo dentro quella che ho definito un’apartheid di genere. E credetemi, prendere coscienza di questa realtà, soprattutto per una donna iraniana, che deve fare i conti con una larga parte della popolazione maschile ancora convinta che noi non siamo capaci di fare quello che fanno loro, ha avuto la potenza di una deflagrazione” Così Darya Majidi decide che il suo libro sarebbe dovuto diventare altro, un luogo di incontro e discussione. Nasce in questo modo la community “Donne 4.0”. Conquistare un futuro tech Siamo in piena pandemia da Covid-19, non si può uscire, ma la voglia di raccontarsi è tanta e si trasforma in un moltiplicatore di energie che, una volta archiviati i lockdown, ha fatto sì che da una comunità virtuale Darya e le altre donne tech abbiano dato vita a un’associazione che porta sempre lo stesso nome. “Oggi siamo 160 donne che lavorano nei settori Ict, che fanno da mentor e sviluppano progetti di sostegno per le donne del futuro” L’idea è quella di restituire alle giovani generazioni quella libertà autentica di poter scegliere il loro percorso di studi e professionale, tipica dell’altra metà del cielo, ma che da queste parti, invece, ancora manca. Spesso le ragazze sono convinte di essere libere di costruire il loro futuro, mentre a scegliere per loro, in realtà, sono pregiudizi e stereotipi che si radicano col tempo e che, come la goccia, scavano la pietra e la modellano. “Devo confessare che la parola ‘stem’ mi resta indigesta. In generale in Italia le donne stem in settori come medicina, farmacia e biologia, sono diventate maggioranza: abbiamo superato il 70%. Il vero problema, in cui non abbiamo avuto il fisiologico aumento che ci aspettavamo in questo decennio è l’Ict. E questo ha conseguenze gravissime anche in quel gender digital divide che ci indebolisce sul fronte delle competenze e che ci allontana, da sempre, dai lavori meglio retribuiti e con maggiori opportunità di carriera”. Con l’esplosione dell’intelligenza artificiale, le donne che scrivono i codici hanno immediatamente capito che questo strumento ha immense potenzialità, ma poiché lavora con i dati che vengono inseriti, e quei dati sono quasi tutti riferiti a uomini e scritti da uomini, il rischio, per non dire la certezza, è che diventi un amplificatore degli stereotipi di genere. Un pericolo che l’Ocse, nel suo rapporto sull’AI, ha evidenziato con grande forza, chiedendo che si agisca per cambiare le cose. I pregiudizi dell'Intelligenza Artificiale “Se provi a chiedere a Chatgpt di descrivere una persona che fa ricerca, una persona stem, il ritratto che avrai è quello di un uomo bianco caucasico. Nei dati di cui si nutrono gli algoritmi dell’intelligenza artificiale ci sono dei bias discriminatori, non solo di genere, ma anche di provenienza geografica, etnia, eccetera eccetera. Ma la cosa bella, e questa è la mia ultima battaglia, è che si possono correggere” E’ da qui che con la sua azienda Darya decide di chiamare a raccolta le sue amiche, professioniste del settore dell’AI per farle diventare docenti nei corsi che con la sua azienda e con l’aiuto di altri sponsor dedica alle ragazze. “Avevo questo pensiero che mi batteva in testa e ho chiesto a esperte di vari campi, medicina, automotive, giurisprudenza, robotica, etica, interazione uomo macchina, di costruire un percorso di formazione per le studentesse delle superiori per renderle protagoniste della quarta rivoluzione industriale. Lo abbiamo chiamato AIxgirls, e durante l’estate diamo l’opportunità di mettersi in gioco. Ci ha aiutato fin dall’inizio Fineco asset e da quest’anno anche Lavazza ha deciso di sostenerci”. Le ragazze che escono dal percorso diventano Ambassador dell’importanza dei percorsi stem, per raccontare la loro esperienza. Quello che emerge è che la matematica, di cui sono fatti i codici degli algoritmi, è una materia dura, è vero, bisogna esercitarsi tanto. Ma quello che può restituire va ben al di là di ciò che si può immaginare: apre un ventaglio di possibilità sconfinato, in grado di cambiare il corso della storia , la vita delle comunità, anche quelle più remote. “E non ci siamo fermate qui, perché quando le mamme delle nostre ragazze hanno capito le potenzialità di quello che facevamo, hanno iniziato a chiedere di partecipare ai nostri corsi. Il passaparola ha avuto un effetto a dir poco inaspettato. Abbiamo risposto creando AIxwomen, in cui facciamo lezioni alle donne di tutte le estrazioni e di tutte le età”. Il mare tech di Darya Majidi L’ultima creatura, in ordine di tempo, è Startupher, un luogo in cui le imprenditrici tech trovano aiuto e sostegno per far nascere e crescere i loro business. Perché quello che le donne sanno fare, stereotipi a parte, è fare squadra. E la storia e l’impegno di Darya Majidi ne sono una delle migliori testimonianze. Da imprenditrice visionaria qual è, Darya Majidi è stata selezionata per la copertina di Fortune Italia tra le 50 Most Powerful Women nell’ottobre 2023, da “Io Donna” di Corriere della Sera tra le 10 donne che impattano l’Italia nel 2022 e da “D di Repubblica” come una delle 100 donne che cambiano il mondo nel 2021. Intanto ha scritto un secondo libro, “Sorellanza digitale”, dove chiama le giovani donne a raccolta per diventare protagoniste di una rivoluzione che è nelle nostre mani. “Abbiamo una possibilità che non sappiamo se potrà tornare, in futuro. Dobbiamo esserci, dobbiamo prendere parte al cambiamento, dobbiamo scriverlo, visto che stiamo parlando di intelligenza artificiale, e quindi di algoritmi e codici. Abbiamo bisogno di imparare questa nuova lingua, farla nostra”. Per tornare da dove abbiamo iniziato, dal significato del nome Darya, Carl Gustav Jung, psicologo svizzero, creatore della tecnica della psicologia analitica, a proposito del mare scriveva: “il mare è come la musica: contiene e suscita tutti i sogni dell’anima”. Sta a noi ascoltarli e realizzarli.

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