"Pensavamo di morire". Il terremoto vissuto dal carcere di Pozzuoli
CronacaDue donne detenute, evacuate dal carcere di Pozzuoli in seguito allo sciame sismico, raccontano a Sky TG24 l'esperienza che hanno vissuto in prima persona: le scosse sempre più forti, la paura di morire tra le mura del carcere, la lunghissima notte passata all'aperto, fino al trasferimento a Milano, con le difficoltà legate alla lontananza dai propri familiari.
Una serie di scosse intermittenti, poi una più forte di tutte le altre. La sera del 20 maggio segna un ricordo indelebile per gli abitanti dell'area dei Campi Flegrei. Un ricordo, se possibile, ancora più terrificante per le 140 donne detenute nel carcere femminile di Pozzuoli, che hanno vissuto il terremoto all'interno delle proprie celle, senza la possibilità di uscire e buttarsi in strada. "Tremava tutto. Il bagno è crollato, vedevamo le pareti che si crepavano, c'era polvere ovunque. Ma non potevamo scappare, ovviamente. Eravamo chiuse all'interno di una cella e in quel momento abbiamo pensato di morire". Angela, 28 anni, e Loredana 58 anni, ci raccontanto la propria esperienza dal carcere di Bollate, alle porte di Milano, dove sono state trasferite dopo l'evacuazione dal penitenziario di Pozzuoli.
La notte all'addiaccio
"Dopo la seconda scossa era chiaro a tutti che non potevamo più rimanere chiuse in cella - spiega Angela - così le agenti sono venute ad aprirci e ci hanno portato nel cortile interno del carcere, all'aperto". "Lì è cominciata la notte più lunga della nostra vita - ricorda Loredana - faceva freddo, eravamo tutte strette l'una all'altra, sdraiate per terra e avvolte nelle coperte, senza riuscire a dormire. Guardavamo il cielo e pensavamo ai nostri familiari, mentre la terra continuava a tremare sotto di noi". "Bisogna dire che non eravamo sole - puntualizza Angela - c'erano le agenti, le educatrici, la direttrice, che hanno passato tutta la notte con noi nel cortile, rischiando la propria vita insieme a noi".
Il trasferimento a Milano
Poi quella notte lunghissima è finita. È arrivata l'alba e insieme alla luce anche l'ordine di evacuare: troppo pericoloso rimanere all'interno di quelle mura. La maggior parte delle detenute è stata trasferita in altre strutture della regione, ma non c'era posto per tutte e alcune, come Angela e Loredana, hanno preso un pullman quella stessa mattina: "Abbiamo fatto tredici ore di viaggio, per poi fare sosta a Pisa - spiega Angela - dopo tre giorni, siamo arrivate infine al carcere di Bollate". "Non ero mai stata al nord - racconta Loredana - ed ero molto spaventata, non sapevo che cosa aspettarmi".
Un'accoglienza positiva
"Non sapevo come fosse il carcere di Bollate - prosegue Angela - ma quando siamo arrivate ci siamo subito sentite a casa: ci hanno permesso di chiamare immediatamente i nostri cari per dire che stavamo bene, ci hanno fornito tutto il necessario di cui avevamo bisogno. Sia il personale che le detenute si sono dimostrati fin da subito molto accoglienti". "Non mi aspettavo questa accoglienza così calorosa - confessa Loredana - ma devo dire che non posso assolutamente lamentarmi di come sia andata". "Certo, va detto che i primi giorni, quando siamo arrivate qui, è stata proprio dura - ammette Angela - perché continuavamo a rivivere il terremoto: ci sembrava di avere ancora le scosse sotto i piedi, sentivamo il pavimento che tremava incessantemente".
La lontananza dalle famiglie
"Bollate è un posto che offre tante opportunità, ma io devo tornare giù in Campania per poter stare vicina ai miei figli - dice Angela, commovendosi - ho un bambino di dodici anni, uno di dieci e una bimba di quindici mesi. Non posso stare lontana da loro. A Pozzuoli potevo vedere a colloquio mio marito e i miei figli tutte le settimane, ora invece per loro è impossibile raggiungermi". Le fa eco Loredana: "Mio marito è malato, a Pozzuoli riusciva a venire a trovarmi, ma qui è troppo lontano. Lo stesso vale per i miei figli e nipoti: non hanno le disponibilità economiche per spostarsi fino a qui". A fine maggio è stata disposta la chiusura del carcere di Pozzuoli per inagibilità. Il futuro delle donne come Angela e Loredana, evacuate e trasferite in regioni lontane, rimane dunque incerto, pieno di incognite. Ma loro hanno ben chiaro che cosa vogliono: "Voglio tornare vicino ai miei figli, solo questo", ribadisce Angela. "Anche io", aggiunge Loredana, che poi continua: "Che cosa spero per il mio futuro? Di non tornare mai più in un carcere".