Disabilità nel cuore e nella mente, quella vera. L'unica
Cronaca ©GettyLo smarrimento della capacità di “sentire” l’altro è il vero indizio di disabilità. La scarsa presenza di questa fondamentale competenza è ciò che rende la persona inadatta, secondo la legge del sentimento sociale
In questi giorni sarebbe servita. Avrebbe avuto molto da dire, Titina Rota, a cominciare dal racconto del giorno in cui cadde da cavallo giovanissima, procurandosi una frattura che, anche a causa di gravi errori medici, l’avrebbe resa zoppa per tutta la vita. Una disabile direbbe qualcuno, immaginando un percorso speciale pure per lei.
Divenne tra le più grandi costumiste e scenografe della storia del teatro italiano.
Una persona a me molto cara, tre anni fa le dedicò una tesi di laurea. Proprio mentre leggevo quell’elaborato, rimanendo affascinato dall’artista, ero stato invitato a tenere alcune conferenze dal comune di Anacapri, esattamente il luogo dove la milanese Titina aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni della propria vita. Furono giorni fortunati, casualmente alloggiai a pochi metri dalla casa dove visse, poi entrai in contatto con il maggiore collezionista delle sue opere, che conobbe personalmente la “signorina”, quando lui era appena un ragazzo dell’Isola e Titina un’attempata celebrità.
Sarebbe scomparsa nel 1978. Peccato, oggi avrebbe avuto molto da dire sulla disabilità, impigliatasi nella barbarie di parole disumane e prive di senso di veri disabili, inconsapevoli.
Titina, cugina del grande musicista, Nino Rota, nel 1952, ragionando di teatro, scriveva che “è il sorgere continuo dell’incidente imprevisto che ci fa di colpo diventare più intelligenti per risolvere il problema”.
Lei sapeva bene cos’era una minorità, cosa poteva comportare “l’incidente imprevisto”. L’aveva vissuto, sapeva cosa significava la fatica di compiere un passo, lo stesso che fino all’inizio della gioventù non le costava nessuna fatica, essendo una delle tante azioni automatiche che compiamo tutti i giorni senza accorgerci, come respirare. Poi vi fu l’imprevisto, dice Titina, quello che ti avvicina alla soluzione del problema. Meglio, molto meglio, se non si verifica, ma solo un esteta vuoto e senza speranza può considerarlo come una discriminante, perché la disabilità, la vera disabilità, si annida nella mente di chi crede di vederla. Sarebbe stato d’accordo Piergiorgio Cattani, malato da sempre di distrofia muscolare di Duchenne. Una presenza insostituibile nella comunità e nella cultura trentina, tra i suoi molti incarichi quello di consigliere di amministrazione del Museo delle Scienze di Trento (Muse), figlio di una passione civile che lo portava a impegnarsi su diversi fronti, non solo come giornalista e scrittore. Se n’è andato, ancora giovane e pieno di sentimento sociale, tre anni fa, mentre cominciavo a conoscere e ad approfondire il genio di Titina.
Il sentimento sociale
Quando -lei era appena venuta al mondo- ai primi del Novecento Alfred Adler definì il sentimento sociale “barometro della normalità” intendeva affermare che il dosaggio di tale ingrediente stabilisce il grado di salute mentale di ciascuno di noi.
Un criterio rivoluzionario, a pensarci bene, eppure se ci guardiamo intorno e osserviamo con attenzione il comportamento dei nostri simili, possiamo reperire indizi che confermano la portata di tale intuizione.
Che il livello di interesse verso i propri simili possa diventare indicatore di salute mentale, a molti sembrerà stravagante, ma se ci si occupa di cura delle persone si capisce in fretta che il grande studioso austriaco era tutt’altro che stravagante. L’interesse per i propri simili è molto basso tra le persone nevrotiche, quasi del tutto assente in quelle psicotiche, ossia negli individui che soffrono di disturbi mentali gravi.
Ovviamente, Alfred Adler non si riferiva a un generico atteggiamento di socievolezza, bensì a una disposizione positiva, convinta, genuina, profonda.
Il ragionamento del grande studioso austriaco parte da constatazioni semplici. Gli esseri umani fanno parte di una specie cooperativa, che in forza di tale specificità è riuscita a realizzare progressi straordinari, da ciò discende che un essere umano “normale” è colui che sa compartecipare, provare compassione. Non importa come è fatto fisicamente, conta il dosaggio del sentimento sociale.
Questo e solo questo stabilisce chi è normale, chi è abile e chi è disabile, rispetto alla propria collocazione nella nostra specie.
L'incapacità di sentire
Lo smarrimento della capacità di “sentire” l’altro è il vero indizio di disabilità. La scarsa presenza di questa fondamentale competenza è ciò che rende la persona inadatta, secondo la legge del sentimento sociale.
Un individuo carente o privo di sentimento sociale diventerà una tossina per sé stesso e per il gruppo umano di cui fa parte, ancora più letale se avrà pubbliche responsabilità, perché il suo raggio di influenza diventerà più grande, ma un disabile del cuore e della mente non può occuparsi di persone normali, tra le quali tante consorelle di Titina e tanti confratelli di Giorgio.
Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).
È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/