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Sangue loro, Daria Bove: “Racconto la mia storia perché voglio la verità"

Cronaca

Claudia Torrisi

Getty/@daria.bove

Daria è la figlia dell'unica vittima dell'attentato alla British Airways a Roma. Quando il 25 settembre del 1985 scoppiò l’ordigno lanciato dal 15enne Hassan, all’interno della sede della compagnia aerea c’era Raffaella Leopardo. La donna morì pochi giorni dopo lasciando il marito e due bambini. “Avevo solo nove anni, per proteggerci non ci hanno mai detto niente”: la storia di quella bambina e di sua madre è raccontata in “Sangue loro - Il ragazzo mandato a uccidere”, nuovo podcast originale Sky

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Daria Bove è una donna adulta, ha 47 anni, una famiglia e vive in una cittadina nell’estremo est dell’Australia. Nel 1985, però, era una bambina la cui vita è stata drammaticamente sconvolta a soli nove anni. Sua mamma, Raffaella Leopardo, è infatti l’unica vittima dell’attentato terroristico che, il 25 settembre di quell’anno, ha distrutto gli uffici della compagnia aerea British Airways di via Bissolati, a Roma. I suoi ricordi con la mamma sono troppo pochi, offuscati dal tempo e dal dolore: quando racconta la sua infanzia le tornano in mente i momenti passati insieme in macchina, tornando da scuola, qualche litigata e le vacanze a Ostia. Daria è stata costretta a crescere senza una madre, convivendo con il dolore e con l’odio verso un colpevole al quale non aveva mai dato un volto. “Avevo solo nove anni, per proteggerci non ci hanno mai raccontato niente. Ho deciso di raccontare la mia storia perché voglio la verità che mi è stata negata da quando ero piccola”. E’ anche di lei che parla “Sangue loro - Il ragazzo mandato a uccidere”, nuovo podcast originale di Sky Italia e Sky TG24, realizzato da Chora Media, scritto da Pablo Trincia e Luca Lancise. 

La stagione degli attentati a Roma

Lo scoppio della bomba negli uffici della British Airways del 25 settembre 1985 è solo uno dei tanti attacchi terroristici che si consumano a Roma in quegli anni. La capitale italiana, tra gli anni ‘70 e ‘80, vive una stagione di terrorismo di matrice mediorientale: l’attentato a Fiumicino nel 1973, quello alla Sinagoga nel 1982, di nuovo all’aeroporto nel 1985 e tutta una serie di ordigni fatti esplodere in quello che era stato ribattezzato il “triangolo delle bombe”, un’area delimitata da via Veneto, via Barberini e via Bissolati. Lì avevano sede molte compagnie aeree e ambasciate, tra cui quella nella quale lavorava Raffaella Leopardo, mamma di Daria Bove. A compiere quell’attacco è Hassan, un ragazzino di appena 15 anni. Ha ricevuto l’incarico dal gruppo terroristico di Abu Nidal che, pochi anni prima, lo ha fatto prigioniero e poi assoldato. Hassan è palestinese e, nonostante la giovanissima età, ha già un passato come combattente dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina).

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La storia di Daria

In qualche modo, quel 25 settembre del 1985, la vita della piccola Daria e di Hassan si sono intrecciate. Quando gli autori del podcast, Pablo Trincia e Luca Lancise, hanno iniziato a lavorare a questa storia, uno degli ostacoli che si sono trovati davanti è stato quello di trovare persone che avessero vissuto in modo diretto gli eventi. “A un certo punto - ha raccontato Trincia a Sky TG24 - ho deciso di pubblicare sui social un appello: quel giorno del 1985, a Roma, un luogo. L’ho fatto così, sperando. Il giorno dopo sono stato contattato da una donna che mi ha detto: ‘in quella storia c'entra mia madre’. Mai mi sarei aspettato che qualcuno potesse rispondere”. La donna in questione era proprio Daria Bove, figlia dell’unica vittima di quell’attentato. “Abbiamo parlato a lungo con lei perché bisogna sempre creare un rapporto di fiducia molto forte, finché lei ha accettato di farsi intervistare”. Sono passati 38 anni da quel giorno e Daria è pronta a parlare, ad ascoltare e a conoscere tutta la verità “per chiudere finalmente un capitolo nella mia vita”. Al momento dell’attentato i due figli di Raffaella Leopardo erano a scuola. “Mia mamma ogni giorno alle 14 telefonava e noi eravamo a casa con la babysitter. Quel giorno - ha raccontato Daria nel podcast - mamma non chiamò. A un certo punto è entrato papà. Non veniva mai a quell’ora del giorno. Quando l’ho visto tornare a casa aveva una faccia assurda e disse che c’era stato un incidente alla British. Lì qualcosa si è rotto”. I due fratellini, di 9 e 7 anni, in quei giorni guardavano il telegiornale di nascosto per provare a capire quello che gli adulti, per proteggerli, non volevano dire. “Noi volevamo andare a trovare mamma in ospedale ma papà non ci ha mai portati. Con il senno di poi lo devo ringraziare: io ho un ricordo di lei bellissimo, non di una donna in fin di vita”.

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Daria e Hassan

Quello di Daria e di suo fratello Claudio è un dolore inumano e inspiegabile. “Mio padre - ha raccontato - si è trovato di punto in bianco a dover badare a due bambini piccoli senza sapere cosa fare. Parlare di quello che era successo per lui era un problema, stava male, quindi per anni è stato un tabù”. Hassan è stato in carcere per 15 anni e Daria per molti anni è rimasta a chiedersi il come e il perché di ciò che la sua famiglia aveva subìto. “Io sono cresciuta mangiata dalla rabbia nei confronti di questa persona. Per anni e anni. Sapevo che l’avevano messo in galera: per me la chiave la dovevano buttare, perché per me lui era l’assassino di mia mamma. Punto”. Un giorno però, quella bambina ormai adulta ha deciso di farsi coraggio e di riaprire quel cassetto della memoria così doloroso: è così che ha scoperto la storia di Hassan e ora, anche grazie a questo racconto, il cerchio potrebbe chiudersi. Daria vive in Australia ma un viaggio in Italia potrebbe permettere alle due voci protagoniste di questo podcast di incontrarsi. “Ho lasciato andare la rabbia. Ho provato pena per questa persona: non sono solo io la vittima qui. Voglio lasciarmi alle spalle questa rabbia, per sempre”.

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