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Beniamino Zuncheddu, l'avvocato: ora le istituzioni chiedano scusa

Cronaca

Chiara Martinoli

©Ansa

"Le istituzioni chiedano scusa", dice ai nostri microfoni Mauro Trogu, l'avvocato di Beniamino Zuncheddu, assolto e libero dopo 33 anni di carcere. Il legale ricorda che in una primissima fase fu seguita la pista di un collegamento della strage del Sinnai con un sequestro di persona precedentemente avvenuto. È plausibile, dice, che sia stato architettato un depistaggio. E avverte: il modo in cui avvennero le indagini mi fa pensare che ci siano tanti Beniamino Zuncheddu nelle nostre carceri

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Avvocato Mauro Trogu, come ha capito che Beniamino Zuncheddu, condannato all'ergastolo per la strage del Sinnai del 1991, era in realtà innocente?

 

Nel 2016 mi incaricarono di lavorare per capire se era possibile far ottenere a Zuncheddu misure alternative alla detenzione in carcere. Era un lavoro difficile, perché Beniamino era stato condannato all’ergastolo e aveva sempre rifiutato di ammettere la propria colpevolezza: questo per l’ordinamento italiano è un problema, perché per concedere la liberazione condizionale è necessario mostrare pentimento e dunque confessare la propria colpevolezza. Ho preso in mano le sentenze per capire come potessi muovermi e leggendole mi è venuta la pelle d’oca: ho trovato totalmente insoddisfacente la spiegazione delle scelte che avevano portato i giudici a ritenere colpevole Zuncheddu. Beniamino era stato condannato all’ergastolo sulla base della testimonianza di un unico testimone oculare, non c'era nient'altro. 

 

Su che cosa avete puntato per ottenere la revisione del processo?

 

Mi resi conto che all'epoca si era deciso di credere a questo testimone senza compiere nessun accertamento. Lo feci dunque io: con un consulente andammo sul luogo del delitto e ricostruimmo la scena, ricreando le stesse condizioni di visibilità che aveva a disposizione il testimone. Ci rendemmo conto che la luce era totalmente insufficiente a far riconoscere i lineamenti del volto di una persona, che tra l’altro il testimone non aveva mai visto in precedenza, quindi uno sconosciuto. Il testimone dunque non aveva nessuna possibilità di vedere ciò che disse di aver visto. Producemmo quindi del materiale e lo portammo al procuratore generale della Corte d’Appello di Cagliari, che allora era Francesca Nanni. La dottoressa Nanni esaminò il materiale e ci disse di essersi convinta che la nostra tesi fosse corretta. 

 

Si parlò però di un depistaggio, non solo di un semplice errore.

 

Fu la stessa Nanni a ragionare sul fatto che poco prima che avvenisse la strage, in quegli stessi luoghi, era stato commesso un sequestro di persona a scopo di estorsione. Ripescando i fascicoli relativi a quest’altra indagine, trovammo una serie di coincidenze spazio-temporali spaventose. Ma non solo, scoprimmo anche che gli inquirenti che avevano indagato su quel sequestro avevano a loro volta ipotizzato un collegamento con gli omicidi. Durante il processo di revisione abbiamo poi scoperto una cosa incredibile: nei primissimi giorni dopo gli omicidi, gli uomini della questura di Cagliari che stavano indagando sulla strage scrissero nero su bianco che la pista principale era quella di un collegamento con quel sequestro di persona. Ma incredibilmente il dirigente della Criminalpol di quell’epoca non trasmise mai quel documento al pubblico ministero.

Perché questo documento non fu trasmesso?

 

Dato il contesto storico in cui si svolse quel processo, è plausibile pensare che ci fu un depistaggio volto a coprire gli autori degli omicidi perché implicati in quel sequestro di persona. E si trattava di soggetti molto vicini a un giudice che all’epoca lavorava a Cagliari, in realtà un giudice istruttore che poi divenne pubblico ministero, che aveva sempre lavorato nell’ambito dei sequestri, avvalendosi di una rete di informatori ai limiti della legalità che davano delle informazioni fiduciarie rimanendo sempre nell’anonimato. Il problema è che gli stessi che facevano gli informatori sull’identità dei sequestratori, erano a loro volta sequestratori. E questa situazione creò un cortocircuito che portò questi informatori a diventare di fatto dei disinformatori per le forze di polizia. Beniamino Zuncheddu è stato condannato, abbiamo scoperto in questo processo di revisione, perché un informatore ha detto a un poliziotto “l’assassino è lui”. E il poliziotto gli ha creduto. Oggi però sappiamo che in quella rete di informatori c’erano persone implicate nel sequestro. Quindi è pensare a depistaggio voluto, volontario. 

 

Alla luce di questi elementi, pensa che sia plausibile una riapertura del caso, ora che la strage è rimasta senza colpevoli?

 

Più che plausibile credo che sia doveroso. Perché comunque abbiamo un triplice omicidio e un tentato omicidio rimasti impuniti, quindi credo che la Procura di Cagliari lo farà come atto dovuto. Che poi sia concretamente possibile arrivare all’accertamento delle responsabilità, questa è cosa ben più complicata. Perché fare delle indagini su fatti di oltre trent’anni fa non è semplice. 

 

Zuncheddu otterrà il risarcimento per tutti questi anni passati ingiustamente dietro le sbarre? 

 

La legge prevede che in caso di errore giudiziario lo stesso debba essere riparato, quindi non vedo perché ciò non dovrebbe accadere. Quello che mi preoccupa sono i tempi della giustizia e della burocrazia. Innanzitutto, per poterla avanzare occorre attendere il passaggio in giudicato della sentenza, e ci vorranno circa 4-5 mesi. Dopodiché, bisogna avviare l’iter e poi una volta che sarà riconosciuto il diritto alla riparazione, dovrà essere avviata la pratica burocratica presso il Ministero per ottenere l’erogazione. 

 

Al di là del Partito Radicale, che vi ha sempre affiancato in questa battaglia, avete ricevuto messaggi di vicinanza e solidarietà da altri politici o dalle istituzioni?

 

Si è fatto vivo, chiedendomi di mantenere l’anonimato, qualche politico regionale e locale. Ma a livello nazionale e istituzionale non si è fatto sentire nessuno. Io non dico che mi aspettavo un qualche messaggio di vicinanza, perché il clima che respiro non è di quelli che ti fanno aspettare gesti di questo genere, però ecco, diciamo che ci avrei sperato. 

 

Ci sono anche delle responsabilità, c'è qualcuno che dovrebbe chiedere scusa a Zuncheddu?

 

Se c’è un responsabile di questa condanna ingiusta sono le persone, all’interno delle istituzioni, che non hanno voluto aprire gli occhi in maniera oggettiva e non hanno voluto porsi i dubbi che chi svolge attività giurisdizionale si dovrebbe sempre porre prima di infliggere una condanna così grave. Se io fossi il Ministro della Giustizia, se rappresentassi questa istituzione, mi sentirei di chiedere scusa. Non per una responsabilità personale, ovviamente, ma per l’istituzione che rappresento. E dirò di più: non mi limiterei a chiedere scusa. Vorrei andare a fondo per capire come è stata gestita quella vicenda. 

 

È una sconfitta per la giustizia?

 

È una sconfitta senza alcun dubbio. E mi mette inquietudine un dato emerso in questo processo: il poliziotto che ha commesso quell’errore, mostrando quella foto al testimone e convincendolo ad accusare una persona contro cui non si avevano prove, ha detto più volte: "All'epoca le indagini si facevano così". E allora, se quello era il modo usuale di gestire le indagini, a me sorge spontaneo il sospetto che di Beniamino Zuncheddu, dietro le sbarre delle carceri italiane, ce ne siano tanti. 

 

Che cosa farà ora Beniamino Zuncheddu?

 

Beniamino durante oltre trent’anni di reclusione ha imparato a non farsi illusioni. Nelle relazioni che il carcere scriveva su di lui, si legge che da un lato è un detenuto modello, ma a cui manca totalmente una progettualità per il futuro. Gli si chiedeva: perché non progetti niente per il futuro? E lui rispondeva: "perché non voglio farmi illusioni. Non voglio illudermi che un giorno tornerò libero”. Oggi che libero lo è per davvero, Beniamino chiede solo di stare in pace, di poter riposare. Quando ci siamo sentiti mi ha detto: “voglio finalmente avere più tempo per dormire”.