Giulia Cecchettin, Filippo Turetta e l'educazione sessuale a scuola

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

È salvifico mettere le bambine e le ragazze di fronte al baratro dell’insicurezza maschile, pronta a trasformare pacifici giovanotti carini in piccoli mostri, travolti dalla loro pochezza, che a furia di essere tenuta nascosta riempie interi magazzini interiori, quella Santa Barbara che più esplode rovinosamente nelle vite altrui

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Se a qualcuno venisse in mente di accostare il tema dell’educazione sessuale nelle scuole a quello del femminicidio, probabilmente verrebbe guardato con una certa sufficienza, soprattutto da chi, per le ragioni più disparate, preferisce immaginare che si tratti di universi estranei, vasi non comunicanti.

Alla prima si attribuiscono chissà quali connotati perversi, spesso per ignoranza pregiudizi ideologici o religiosi, ritenendo che la questione vada risolta in famiglia. Magari è giusto, peccato non risulti che all’interno delle famiglie l’argomento, salvo eccezioni, venga anche solamente sfiorato, sebbene di educazione sessuale "implicità" se ne faccia in quantità, senza rendersene conto.

Un figlio vede bene qual è l’idea di donna testimoniata dal padre e quale concetto di maschio abbia in mente la madre, entrambi i genitori credono che basti non parlarne per tenere il barattolo sigillato. Ma i figli sono antenne sensibili.

Una mamma, la scorsa settimana, mi chiama per chiedermi un consiglio veloce. Si è accorta che il figlio di otto anni e il suo amichetto, guardano video porno sul telefonino. Non è un depravato, i bambini una sessualità la possiedono e in qualche modo la esercitano. Se si fosse parlato liberamente, senza reticenze, creando un clima in cui è possibile porre domande, forse quella normale curiosità si sarebbe espressa attraverso vie meno clandestine.

Come educhiamo i nostri figli

Noi educhiamo i figli all’affettività senza pause, trasferendo su di essi una chiara visione della donna e dell’uomo.

 “Questo è un lavoro da maschio”, aveva detto il padre alla bambina, quando lei voleva picchiare col martello sull’asse che il genitore stava inchiodando. Questa, diciamolo chiaro, è educazione sessuale, così come lo sono i silenzi imbarazzati.

“Quando le ponevo domande sulla mia sessualità, su come ero fatta, mia madre mi mandava dalla vicina, erano molto amiche, ma quella era più disinvolta, mentre mamma diventava rossa, con lei era impossibile fare anche solo un’allusione”.

“Sono cresciuta con la fissazione di avere la vagina storta, perché mia madre non si faceva mai vedere, neppure quando era in doccia e io entravo in bagno per vedere se anche la sua era orientata in verticale. La verità l’ho scoperta a scuola, a otto anni, e finalmente mi sono sentita normale”.

Noi facciamo educazione sessuale in ogni istante, ma pensiamo che non sia vero.

Cosa c'entra il femminicidio di Giulia

Cosa c’entra il femminicidio di Giulia, che sta devastando da giorni la sua povera famiglia, con l’educazione sessuale nelle scuole vorrei chiederlo a chi non ne vuole sentirne neppure parlare, perché pensa che fare conoscere l’altro sesso, oltre che il proprio, significhi appendere cartelloni con tanto di organi genitali sulla parete della classe e lanciarsi nella spiegazione piatta su “come” mettere insieme quei pezzi di carne. Ma stiamo parlando di anatomia, l’educazione sessuale, che sarebbe meglio chiamare educazione alla relazione, significa rendere edotte bambine e ragazze, edotti bambini e ragazzi, su cosa c’è attaccato sopra quegli organi genitali, significa aiutarli a farsi un’idea di come tende a pensare un ragazzo e come tende a pensare una ragazza, su quanto siano fragili i maschi anche quando mostrano i muscoli, anzi soprattutto quando esibiscono sicurezze che non possiedono. È salvifico mettere le bambine e le ragazze di fronte al baratro dell’insicurezza maschile, pronta a trasformare pacifici giovanotti carini in piccoli mostri, travolti dalla loro pochezza, che a furia di essere tenuta nascosta riempie interi magazzini interiori, quella Santa Barbara che più esplode rovinosamente nelle vite altrui. Ho conosciuto detenuti che si sono rovinati uccidendo immaginari rivali in amore. Ancora è in coma profondo il giovane bolognese massacrato di botte da un fidanzato che, aizzato dalla gelosia, è incappato in un tragico scambio di persona.

Filippo Turetta non è l'eccezione

Se raccontassimo davvero alle ragazze come tende a costruirsi l’emotività e l’affettività maschile, su quali presupposti sbagliati si fondano certe pretese dei fidanzati e poi dei mariti, su quali equivoci culturali e pedagogici si appoggia la presunta sicurezza di maschi, forse vedrebbero “prima”, in tempo. Se solo fossimo onesti nell’affermare che Filippo Turetta non è l’eccezione, se avessimo il coraggio di dire che molti ragazzi e uomini siedono su un crepaccio, che potrebbe aprirsi in qualsiasi momento, ma con segnali e preavvisi, che sarebbe meglio insegnare per tempo alle figlie, cominceremmo a fare davvero prevenzione. Se mettessimo i ragazzi nella condizione di non vergognarsi delle proprie acclarate insicurezze, li spingeremmo verso una pista meno nevrotica a pericolosa. Venerdì scorso sono stato invitato a parlare agli operai di un’azienda modello del Sud. Gli organizzatori, per evitare imbarazzi e sfottò, avevano distribuito piccoli foglietti colorati, sui quali ognuno poteva scrivere la sua domanda. Una di queste poneva un quesito semplice: “Come si può aiutare un ragazzo insicuro a superare questa condizione”.

Ho risposto raccontando una quantità di fallimenti personali, miei, ricordando che siamo creature minuscole e fragili già dalla nascita, che quell’impronta ce la portiamo dietro per tutta la vita. Per fortuna, perché l’insicurezza e l’insuccesso sono i nostri veri alleati, senza di essi non esiste normalità. Il sentimento di inadeguatezza è il motore del progresso di tutti noi, viviamo per passare dal segno meno al segno più, mettendo in movimento la nostra vita e quella degli altri. Peccato che una mano ignota abbia trasformato il limite in una vergogna da nascondere. Se qualcuno avesse spiegato a tutti i Filippo a mano armata che la loro inadeguatezza non se la potranno mai togliere di dosso, perché è la benzina del loro sviluppo personale e sociale, forse Giulia e le sue numerosissime sorelle di sventura, sarebbero ancora con le loro inconsolabili famiglie. Negare la necessità di aprire il faldone dell’educazione alla relazione, con fiducia e senza morbosità, farebbe vedere alle nostre figlie il re nudo, letteralmente, mettendole in condizione di cucirgli addosso un abito su misura, comprando solo un decimo della stoffa che sono indotte a comprare di solito. 

L'esempio di don Paolo Liggeri

Negli anni Quaranta del secolo scorso, don Paolo Liggeri, nella Milano ancora sotto le bombe, aprì il primo consultorio familiare italiano, sono passati ottant’anni e quella splendida intuizione si è fermata, da tempo, sostituita da dibattiti ideologici tra persone, mi permetto dirlo, inadatte, avvelenate dall’ideologia e dalla superstizione. Se costoro non vogliono l’educazione sessuale a scuola perché temono faccia “diventare i figli gay” o depravati, si attrezzino almeno a impartirla ai genitori, mettendo in piedi un welfare degno di questo nome, ma qui non bastano le mascherate e il fanatismo, ci vuole genio umano, come lo ebbe Paolo Liggeri. Fino a quando rifiuteranno di farlo, abbiamo il diritto di considerarli complici di Filippo e responsabili di ogni effrazione sul corpo delle donne.

Inutile, sotto la pressione degli eventi e delle emozioni, scrivere nuove leggi, ne esistono abbastanza, non creiamo nuovi alibi di carta, ma dimostriamo di avere delle risposte vere a un dramma vero, impossibile da estirpare senza una rivoluzione nel modo di pensare la persona e la stessa educazione. 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

 

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