Il coming out è ancora un passo difficile da fare per la maggior parte dei ragazzi Lgbt+. Gay Help Line, contact center nazionale, raccoglie 20 mila telefonate l’anno di richieste d’aiuto. Figli gay o transgender sottoposti dai genitori anche a riti esoterici nel tentativo di poterli convertire. “Uscire al Sud col proprio compagno è un atto di coraggio” ci avevano raccontato Antonio e Pierpaolo. Proprio ieri la coppia ha subito una grave aggressione
Incompresi, isolati, picchiati, abbandonati. C’è una struttura protetta a Roma, la prima nel suo genere in Italia, che accoglie i ragazzi gay, le giovani lesbiche, i transgender dai 18 ai 27 anni costretti a lasciare le proprie case perché non voluti dalle famiglie. Figli discriminati per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere.
Più di 40 ragazzi in 5 anni, accolti in una vera e proprio “casa rifugio” da un team di esperti che si prende totalmente cura di loro: dal punto di vista economico, ma anche sanitario e formativo. Un grande appartamento in cui i giovani condividono dolori, sogni e prospettive.
Arrivano qui da ogni parte d’Italia, appartengono a tutti i ceti sociali: l’intolleranza e la discriminazione – ci spiega la responsabile della struttura Sonia Minnozzi - non conosce distinzioni. Incontriamo Maria, nome di fantasia, 22 anni del Veneto studentessa universitaria. Costretta a lasciare la sua casa, i suoi amici, i suoi studi perché messa in strada dalla famiglia. I suoi genitori non accettavano la sua omosessualità. Io spero – ci confida – di poter riavvicinarmi ai miei genitori, mi manca la mia città e i miei amici. E poi vorrei riprendere i miei studi. E proprio il riavvicinamento di questi ragazzi alle proprie famiglie è la missione principale della casa Refuge. Obiettivo – ci dice ancora Sonia Minozzi - che raggiungiamo nel 90% dei casi.
Gay Help Line contro l’omotransfobia: 20 mila richieste d’aiuto l’anno
E’ Gay Help Line, un contact center nazionale contro l’omotransfobia, a fare da filtro e orientare i giovani più bisognosi verso la “casa rifugio”. Un centralino che riceve più di 20 mila telefonate l’anno: nel 60% dei casi a chiamare al numero 800.713.713 sono giovani tra i 13 e i 27 anni che chiedono aiuto su come fare coming out in famiglia, a scuola, tra gli amici. Dietro c’è la paura di deludere le persone che si amano, un profondo senso di inadeguatezza, di solitudine e ingiustizia.
D’altronde i dati raccolti dagli esperti di Gay Help Line dicono che 1 giovane LGBT+ su 2 ha moderati o gravi problemi in seguito al coming out e che il 36% dei giovani utenti ha subito discriminazioni dalle persone con cui vive: nel 15% dei casi anche di grave entità.
I riti esoterici per guarire i figli gay
Capita spesso infatti che in assenza di informazioni e strumenti adeguati – dopo il coming out dei propri figli - nei genitori prevalga la preoccupazione e la sofferenza, che sono poi la premessa per la mancanza di comprensione. Un corto circuito che può portare a un crescendo di situazioni drammatiche nel rapporto genitori-figli: prima l’isolamento dalla rete amicale, poi la sottrazione degli strumenti tecnologici per limitarne la socialità, quindi la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di conversione attraverso riti esoterici, le imposizioni terapeutiche, la violenza verbale e fisica, fino all’abbandono affettivo ed economico.
Il difficile coming out a scuola
Ma il coming out è un passo difficile da fare anche a scuola. Una recente indagine realizzata nell’ambito del progetto scuole “Laboratorio Rainbow” ha portato all’attenzione dati significativi: il 34%degli studenti partecipanti ha dichiarato che l’omosessualità è sbagliata, il 27% non vorrebbe un compagno di banco gay o trans o non condividerebbe la stessa stanza da letto in gita.
La casa Refuge
Più di 40 ragazzi in 5 anni, accolti in una vera e proprio “casa rifugio” da un team di esperti che si prende totalmente cura di loro: dal punto di vista economico, ma anche sanitario e formativo. Un grande appartamento in cui i giovani condividono dolori, sogni ed esperienze. Arrivano qui da ogni parte d’Italia, appartengono a tutti i ceti sociali: l’intolleranza e la discriminazione – ci spiega la responsabile della struttura Sonia Minnozzi - non conosce distinzioni. Incontriamo Maria, nome di fantasia, 22 anni del Veneto studentessa universitaria. Costretta a lasciare la sua casa, i suoi amici, i suoi studi perché messa in strada dalla famiglia. I suoi genitori non accettavano la sua omosessualità. Io spero – ci confida – di poter riavvicinarmi ai miei genitori, mi manca la mia città e i miei amici. E poi vorrei riprendere i miei studi. E proprio il riavvicinamento di questi ragazzi alle proprie famiglie è la missione principale della casa Refuge. Obiettivo – ci dice ancora Sonia Minozzi - che raggiungiamo nel 90% dei casi.