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Infortuni a scuola, sentenza della Cassazione: anche il preside rischia una condanna

Cronaca

La Suprema Corte ha confermato un mese di reclusione e il pagamento di un risarcimento danni per una preside imputata, insieme ad altri, per lesioni colpose gravi in relazione a un incidente occorso a un ragazzo in un liceo di Sapri nell'estate 2011

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Anche il preside rischia grosso. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, il dirigente scolastico riveste una posizione di garanzia in relazione alla sicurezza nelle scuole e può andare incontro a una condanna penale nel caso di infortunio di una persona all'interno dell'istituto. E' quanto scritto in una sentenza relativa a dei fatti avvenuti nell'estate del 2011 in un liceo di Sapri e in particolare al grave incidente occorso a un ragazzo che, qualche giorno dopo aver terminato le prove di maturità, si era recato a scuola per assistere all'esame orale di un compagno.

Sicurezza prima di tutto

La Suprema Corte ha confermato la condanna - a un mese di reclusione (condizionalmente sospesa) e al pagamento di un risarcimento danni - di una preside e dell'ingegnere responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'istituto, imputati per lesioni colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica. Nell'estate del 2011 il giovane, inciampando, era caduto su un lucernario precipitando per oltre 7 metri e riportando ferite gravi. Il solaio-lucernario era accessibile attraverso una porta finestra solitamente chiusa con un piccolo lucchetto, ma che talvolta veniva aperta, come accadde quella mattina, a causa del gran caldo. La quarta sezione penale della Cassazione ha confermato
la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Potenza, che aveva ritenuto i due imputati responsabili dell'infortunio.

I perché della condanna

Per i giudici la preside "avrebbe potuto e, soprattutto, dovuto segnalare alla Provincia le problematiche dell'istituto alla stessa affidato" - come  "l'insicurezza del solaio in questione", cosa che invece non avvenne. Gli accertamenti compiuti nel corso del procedimento hanno appurato che "le richieste, pur in effetti inoltrate all'ente territoriale e ad altri soggetti pubblici, non contenevano però alcuna menzione della problematica in questione". Secondo la Corte si preferì una "soluzione artigianale" insufficiente però a eliminare il pericolo.