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Cannabis light, Cassazione: è reato vendere prodotti derivati

Cronaca

La Suprema Corte ha deciso che è punibile chi mette in commercio prodotti derivati da cannabis con Thc inferiore allo 0,6%. Il pg aveva chiesto che ad esprimersi fosse la Corte Costituzionale. L'Associazione italiana cannabis light: "Se confermato sarebbe una tragedia" 

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Per la Cassazione, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti "derivati dalla coltivazione della cannabis", come l'olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. Lo hanno deciso le sezioni unite penali della Corte Suprema che così danno uno stop alla vendita della "cannabis light" rendendo reato commercializzarne i prodotti derivati e chiarendo in via definitiva la punibilità per chi mette in commercio prodotti derivati da infiorescenze o resine della cannabis con Thc inferiore allo 0,6%. In mattinata, secondo quanto riferito dall’avvocato Carlo Alberto Zaina, la Procura della Cassazione, rappresentata dal pg Maria Giuseppina Fodaroni, aveva chiesto alle sezioni unite della Suprema Corte di inviare gli atti alla Consulta. Preoccupato Riccardo Ricci, imprenditore e presidente dell'Aical (Associazione italiana cannabis light), secondo cui "se dovesse essere confermato, la decisione della Cassazione per noi è una tragedia".

Cosa hanno deciso i giudici

Le sezioni unite penali della Cassazione hanno sciolto il “nodo” giurisprudenziale sulla cannabis light. A sollevare il caso davanti al massimo consesso della Suprema Corte è stata la quarta sezione penale, nell'ambito di un procedimento sul sequestro effettuato a un commerciante: il Riesame di Ancona aveva annullato il sequestro e il procuratore capo del capoluogo marchigiano si era quindi rivolto alla Cassazione. Con un'ordinanza dello scorso 27 febbraio, i giudici di piazza Cavour, evidenziando il "contrasto giurisprudenziale" emerso negli ultimi mesi, hanno trasmesso gli atti alle sezioni unite. Un "primo indirizzo interpretativo", infatti, aveva dato "risposta negativa" al quesito se la legge consenta la commercializzazione dei derivati della coltivazione della canapa (hashish e marijuana), ritenendo che la normativa in vigore dal 2016 "disciplini esclusivamente la coltivazione della canapa", consentendola, in limitate condizioni, "soltanto per i fini commerciali" elencati nella stessa legge "tra i quali non rientra la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina", per cui "i valori di tolleranza di Thc consentiti (0,2-0,6%) si riferiscono solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio" e "la detenzione e commercializzazione dei derivati della coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish), rimangono, conseguentemente, sottoposte alla disciplina" prevista dal Testo unico sulle droghe.

La cannabis light

Invece, si ricorda ancora nell'ordinanza con cui la questione è stata rimessa alle sezioni unite, "secondo un contrario orientamento ermeneutico, è nella natura dell’attività economica che i prodotti della 'filiera agroindustriale della canapa', che la legge espressamente mira a promuovere, siano commercializzati”, cosicché "dalla liceità della coltivazione della cannabis deriva naturalmente la liceità dei suoi prodotti, contenenti un principio attivo inferiore allo 0,6%" e che "ove sia incontroverso che le infiorescenze sequestrate provengano da coltivazioni lecite, è esclusa la responsabilità penale sia dell'agricoltore che del commerciante". Le sezioni unite, presiedute dal presidente aggiunto della Cassazione Domenico Carcano, hanno quindi risolto il quesito di diritto "se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà" indicate nella legge del 2016 "e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L", "rientrino o meno nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa”. 

Associazione italiana cannabis light: "Pietra tombale sulla filiera"

Per il presidente dell'Associazione italiana cannabis light la sentenza sarebbe "di fatto la pietra tombale di un'intera filiera industriale che si  sviluppata in questi tre anni, e avrà un impatto su almeno 10mila persone che lavorano in questo settore. A partire dalla mia azienda", afferma Ricci. "Ad oggi - continua l'imprenditore - ci sono in  Italia circa 3mila negozi che vendono prodotti derivati dalla cannabis, 2,5mila nati negli ultimi 24 mesi che vendono esclusivamente questi prodotti". L'Aical, che rappresenta produttori, trasformatori e negozi della filiera della cannabis, calcola un giro d'affari legato a questo business di circa 80 milioni di euro, con crescite esponenziali negli ultimi anni fino al 100%. "Nei negozi che commerciano questi prodotti il 90% del fatturato arriva da infiorescenze e oli, quindi mi pare ovvio che se non potranno più farlo queste attività commerciali chiuderanno", continua Ricci. "Solo la mia azienda a Forlì ha raggiunto 3,8 milioni di fatturato in due anni dalla fondazione (2017, ndr) e dà lavoro a 50 persone. Questo senza contare i contadini e tutta l'industria che si è sviluppata in questi anni. E sono certo che gli stessi numeri della mia li hanno almeno altre 10 aziende", conclude.

Pg: “Il legislatore non fornisce indicazioni chiare”

In mattinata, l'avvocato Carlo Alberto Zaina ha riferito il contenuto della requisitoria del pg che si è svolta a porte chiuse: "Il pg della Cassazione ha evidenziato che non c'è ragionevolezza nel sistema legislativo attuale e che le indicazioni fornite dal legislatore, sul tema della cannabis light, non sono chiare: pertanto non vi è la prevedibilità, da parte del cittadino e del commerciante, sulle condizioni suscettibili di essere sanzionate". In subordine alla richiesta di inviare gli atti alla Consulta, il procuratore generale - riferisce sempre Zaina - "ha chiesto l'accoglimento del ricorso del pm di Ancona contro l'ordinanza con la quale era stato revocato il sequestro di prodotti derivati dalla cannabis light a un commerciante". Ad avviso di Zaina, legale della difesa, "se gli atti andranno alla Consulta si protrarrà una situazione di assurda incertezza: credo che la Cassazione abbia tutti gli elementi per decidere".