I lavoratori hanno proclamato la protesta perché da mesi non ricevono lo stipendio. Lo scorso settembre il tribunale di Catania ha sequestrato le quote dell’editore del giornale e da allora la situazione è in stallo. “La nostra dignità è calpestata”, scrivono
Da domenica 3 marzo, la Gazzetta del Mezzogiorno non sarà in edicola. La scelta è stata votata dall'assemblea dei giornalisti che hanno proclamato lo sciopero a oltranza. Le ragioni di questa protesta sono “la persistente assenza di risposte da parte degli amministratori giudiziari sul pagamento degli stipendi e dei versamenti previdenziali arretrati, nonché le incertezze sul futuro della testata”, si legge sul sito del quotidiano. “Siamo stanchi di essere umiliati”, scrivono i giornalisti in una lettera ai lettori.
La vicenda giudiziaria
Questa decisione arriva dopo mesi di difficoltà: lo scorso 24 settembre, il tribunale di Catania ha sottoposto a sequestro le quote dell'editore Mario Ciancio Sanfilippo, azionista di maggioranza (70%) della Edisud Spa. L’ultimo stipendio che giornalisti e impiegati della Gazzetta hanno visto è quello di novembre. “La nostra dignità è stata costantemente calpestata”, è l’accusa. I lavoratori rimproverano soprattutto il silenzio e la scarsa chiarezza (da parte di tutti i soggetti coinvolti) e la mancata retribuzione del lavoro svolto: “E che per assurdo ci viene negato proprio dallo Stato, subentrato dopo il sequestro all'editore”, scrivono. L’accusa alla società è chiara: “Se indubbiamente anche il nostro Giornale ha risentito della crisi, alle origini del dissesto ci sono anche e soprattutto delle responsabilità imprenditoriali e manageriali”, scrivono i giornalisti, citando fatti e incongruenze alla base di questa accusa.
“Non è per niente facile decidere di fermarci a oltranza, di fermare quel giornale al quale da anni dedichiamo molto più tempo di quanto non ne riserviamo alle nostre famiglie. Ma così non si può più andare avanti e qualcosa dovrà pur accadere”, scrivono amareggiati i lavoratori. “Vogliamo tornare a lavorare e desideriamo farlo il più presto possibile. Ma con delle risposte certe e chiare. E soprattutto con uno stipendio e con dignità”.