Ilva, incostituzionale il decreto che aggirava lo stop dell'altoforno

Cronaca
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La Corte Costituzionale si pronuncia contro il decreto legge del 2015, che consentiva la prosecuzione dell'attività dopo il sequestro di un altoforno a seguito della morte di un operaio. L’azienda: la produzione non si ferma

Il “decreto Ilva” del 2015 è incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza depositata oggi, 23 marzo. Il decreto del governo consentiva la prosecuzione dell'attività degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall'autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori. La questione nasce dalla morte di un lavoratore dell'Ilva esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose nell'area di un altoforno dello stabilimento di Taranto. Malgrado il pronunciamento della Consulta, l’azienda ha fatto sapere che non fermerà la produzione.

La ricostruzione

L'altoforno era stato sequestrato dall'autorità giudiziaria ma, pochi giorni dopo, il legislatore aveva disposto la prosecuzione dell'attività di impresa, alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento contenente "misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio", non meglio definite. La Corte costituzionale ha applicato gli stessi principi della sentenza n. 85 del 2013 in base ai quali il legislatore, pur in presenza di sequestri dell'autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell'attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell'ambiente, della salute e dell'incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell'iniziativa economica e della continuità occupazionale. In quell'occasione, si legge in un comunicato della Consulta, "la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati; in questo caso, invece, la Corte ha ritenuto che il legislatore abbia privilegiato unicamente le esigenze dell'iniziativa economica e sacrificato completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell'incolumità e della salute dei lavoratori".

Le motivazioni della Consulta

Questa volta, però, "i giudici costituzionali hanno dichiarato illegittima la norma oggetto del giudizio, oltretutto introdotta e tenuta in vita con un'anomala procedura legislativa: la norma era stata infatti introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell'impianto, poi era stata abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, era stata trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti".

L’azienda: non si ferma la produzione

La sentenza della Corte Costituzionale sul decreto del 2015 "non ha alcun impatto sulla continuità dell'attività produttiva in quanto la restituzione dell'Altoforno 2 è stata ottenuta da Ilva nel settembre 2015 non in base al decreto oggi dichiarato illegittimo, ma in forza di un provvedimento della Procura che, accogliendo un'istanza della società, ha restituito l'impianto condizionatamente all'adempimento di determinate prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate", ha spiegato l’Ilva in una nota. "La sentenza della Corte Costituzionale - ha aggiunto il commissario straordinario di Ilva, Enrico Laghi - non incide minimamente sulla operatività dell'impianto. Pur in presenza del decreto legge, oggi giudicato incostituzionale, per il dissequestro dell'altoforno avevamo scelto di intesa con la Procura di Taranto la via ordinaria prevista dal codice di procedura penale. Le norme del decreto dunque avrebbero rappresentato solo una soluzione alternativa, che non è stata però perseguita. Per questo motivo non c'è nulla da temere per Ilva dalla sentenza della Corte Costituzionale".

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