I giudici accolgono il ricorso della difesa di Andrei Talpis, che accoltellò nel 2013 un 19enne adottato in Moldavia. Secondo il Codice penale, resta la distinzione coi figli legittimi: esclusa l’aggravante specifica e il carcere a vita. Ora un nuovo processo
Nel 2013 Andrei Talpis, 57 anni, originario della Moldova, uccise il figlio 19enne con un coltello da cucina. Per quell’omicidio era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado. Ora la Corte di Cassazione ha deciso che il processo è da rifare: l’uomo non può essere condannato al carcere a vita perché il figlio era adottivo.
Non c’è rapporto di consanguineità
A raccontare la vicenda è il Messaggero Veneto. I giudici, spiega il giornale, nei giorni scorsi hanno accolto il ricorso della difesa di Andrei Talpis. Tra lui e il ragazzo ucciso, essendo stato adottato, non esisteva un rapporto di consanguineità. E, mentre sul piano civilistico vale la parificazione di status con i figli legittimi operata dalla legge, secondo il Codice penale la distinzione resta. Visto che non c’è una discendenza tra la vittima e il suo carnefice, quindi, è esclusa l’aggravante specifica e di conseguenza il carcere a vita.
Nuova pena non sotto i 16 anni
La Prima sezione della Corte di Cassazione, così, ha cancellato l’ergastolo inflitto ad Andrei Talpis dal gup di Udine nel 2015 e confermato dalla Corte d’assise d’appello di Trieste nel 2016. Ha anche disposto la trasmissione degli atti alla Corte d'assise d'appello di Venezia, che dovrà riquantificare la pena: i giudici hanno disposto che non scenda sotto i 16 anni di reclusione. “Lo sconto fino a un terzo della pena previsto dalla scelta del rito abbreviato consentirà, anche nel caso peggiore, di restare al di sotto dei 30 anni”, spiega ancora il Messaggero Veneto.
Le reazioni
“Sulla disparità ancora presente tra figli naturali e adottati dovrà eventualmente pronunciarsi la Corte Costituzionale: fino a che la legislazione vigente è questa è doveroso che i tribunali la applichino”, ha detto l'avvocato Roberto Mete, legale di Talpis. Nessun commento dalle parti civili che si erano costituite nel processo, che preferiscono attendere le motivazioni della Suprema Corte.
L’omicidio nel 2013
I fatti risalgono alla notte del 26 novembre 2013. Talpis, all’epoca residente a Remanzacco (Udine) con la famiglia, colpì a morte con un coltello da cucina il figlio adottivo di 19enne. Sull’imputato, in carcere da allora, pende anche l’accusa di tentato omicidio della moglie Elisaveta, sua coetanea e connazionale. Sarebbe stata proprio l’ennesima violenta lite tra i genitori, quella notte, a spingere il 19enne a mettersi tra loro e a difendere la donna. Ne era nato uno scontro corpo a corpo, fino a quando Talpis, ubriaco, non aveva ucciso il giovane con una coltellata.
La condanna all’Italia
Sulla vicenda era intervenuta, qualche mese fa, anche la Corte europea dei diritti umani: aveva condannato l’Italia a pagare alla moglie di Talpis 30mila euro perché, nonostante le richieste d’aiuto, non aveva fatto abbastanza per proteggere lei e i figli dalle violenze domestiche del marito. La Corte europea dei diritti umani ha agito per la violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti umani. I giudici di Strasburgo hanno rilevato che “la signora Talpis è stata vittima di discriminazione come donna a causa della mancata azione delle autorità, che hanno sottovalutato (e quindi essenzialmente approvato) la violenza in questione”.