Cancro, farmaco potrebbe evitare l'infertilità causata dalle cure
CronacaSecondo uno studio condotto da un team di ricerca della Cornell University e pubblicato sulla rivista Genetics, sarebbe possibile "proteggere" gli ovociti dalle radiazioni o dalle terapie chemioterapiche preservando la fertilità femminile
Le donne che subiscono trattamenti per la cura del cancro a base di radiazioni e alcuni farmaci chemioterapici rischiano sensibilmente di diventare sterili. Secondo uno studio della statunitense Cornell University del 2006, quasi il 40% delle pazienti che riescono a debellare il tumore al seno riscontrano un danno ovarico precoce che spesso porta all'infertilità. Una nuova ricerca, però, ha dimostrato che alcuni farmaci già esistenti, utilizzati in maniera poco efficace proprio nel trattamento di alcuni tumori, potrebbero salvare la fertilità femminile di donne sottoposte a cure anti-cancro.
Come funzionano
Lo studio, condotto da un team di ricerca della Cornell University e pubblicato sulla rivista Genetics, ha preso in esame il comportamento della proteina denominata Chk2, partendo dal presupposto che sia una dei responsabili dell'infertilità nelle donne sottoposte a trattamenti anti-cancro. È stato dimostrato, infatti, che l'attivazione di questa proteina, che entra in azione quando gli ovociti sono danneggiati dalle radiazioni, comporta l'eliminazione delle cellule uovo il cui Dna risulta danneggiato. Con il loro studio, però, gli scienziati della Cornell University hanno dimostrato che nei topi è possibile inibire la Chk2 chimicamente, attraverso un farmaco che permette agli ovociti di rimanere fertili. "Esistono dei farmaci che sono stati sviluppati ironicamente proprio per il trattamento del cancro – spiega John Schimenti autore senior dello studio – che sono risultati essere dei perfetti inibitori della Chk2".
Rischio del mutamento genetico
Sperimentando sui topi questo farmaco inibitore, il team di ricerca ha scoperto che gli ovociti sono sopravvissuti alle radiazione e sono rimasti fertili, consentendo la procreazione di cuccioli sani alle madri. Il successo dello studio sui roditori però non garantisce che, secondo gli studiosi, possa produrre gli stessi risultati positivi sull'uomo. Inoltre, per Schimenti bisogna approfondire il rischio di mutazioni genetiche che potrebbero comparire a distanza di una o due generazione nonostante la nascita di animali sani in prima battuta. Per questa ragione saranno necessarie nuove ricerche che dovranno utilizzare anche "il sequenziamento genomico", conclude Schimenti.