In Evidenza
Altre sezioni
altro

Cassazione: l'energia elettrica non è un bene indispensabile

Cronaca
La mancanza di energia elettrica, secondo la Cassazione, non comportava nessun pericolo e fuoriesce dal concetto di "incoercibile necessità" (Ansa)

Secondo la Corte, l'elettricità procura "agi e opportunità" ma non averla non mette a rischio l'esistenza quindi chi si allaccia abusivamente alla rete, adducendo difficoltà economiche, non ha diritto a scusanti in sede di giudizio

Condividi:

Chi si allaccia abusivamente alla rete sostenendo di non avere i soldi per pagare la bolletta non ha diritto a scusanti perché l'energia elettrica non è un bene "indispensabile alla vita". È quanto emerge da una sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per furto di elettricità nei confronti di una donna pugliese. Nello specifico la condannata si era dichiarata sfrattata, senza lavoro e con una figlia incinta, e quindi non in grado di pagare un allaccio legale alla rete.

L’elettricità non è vitale

Secondo i giudici l'energia elettrica procura "agi e opportunità" ma non averla non mette a rischio l'esistenza. Decadendo questa condizione, l’ordinamento italiano non ammette "l'atto penalmente illecito" che, contrariamente, viene tollerato solo nel caso in cui la mancanza provochi "un pericolo di danno grave alla persona". Nel caso specifico però, si legge nella sentenza 39884, depositata il 4 settembre, "la mancanza di energia elettrica non comportava nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita, nel senso sopra specificato – i giudici fanno riferimento all'utilizzo dell'energia anche per alimentare gli elettrodomestici della casa (ndr) – semmai idoneo a procurare agi e opportunità, che fuoriescono dal concetto di incoercibile necessità", condizione indispensabile per non emettere condanna.

Aggravante del comportamento fraudolento

Con questa sentenza la Cassazione conferma la decisione emessa dalla Corte di Appello di Lecce il 28 settembre 2016 che aveva leggermente ridotto la pena a causa delle condizioni "precarie e faticose" in cui aveva dichiarato di essere la donna. I giudici del secondo grado di giudizio avevano accordato lo "sconto" della pena nonostante avessero riconosciuto sussistente l'aggravante di aver agito fraudolentemente. Anche quando infatti, come nel caso della signora pugliese condannata, l'allaccio avviene "senza rompere o trasformare la destinazione del cavo", secondo la giurisprudenza in materia si tratta comunque di un utilizzo abusivo del servizio, che si configura come un comportamento fraudolento. Infine, la Cassazione ha condannato la donna a pagare duemila euro di multa alla cassa delle ammende per la "pretestuosità dei suoi motivi di ricorso".