Due assistenti capo in servizio a Rebibbia sono accusati di rivelare informazioni riservate e portare in cella oggetti vietati. Dalle indagini è emerso che il denaro è stato solo promesso e mai versato
Due assistenti capo della Polizia penitenziaria di Rebibbia sono state arrestate. L'ipotesi di reato è corruzione. Protagonista della vicenda, insieme a loro, un detenuto di 50 anni: destinatario di una nuova ordinanza di custodia cautelare. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma.
L'accusa - I due assistenti capo avrebbero fornito al detenuto favori di vario genere. Con la promessa di ricevere denaro (mai versato) i due avrebbero portato in carcere oggetti vietati e fornito ai familiari e al difensore del detenuto informazioni riservate. La Procura di Roma ha disposto perquisizioni nelle abitazioni di residenza (in provincia di Caserta) e negli alloggi di servizio dei due poliziotti. Al setaccio anche l'appartamento della moglie del detenuto.
Gli indagati - Il “patto” legava un detenuto di 50 anni di Siracusa e due assistenti capo della penitenziaria di Rebibbia, entrambi ai domiciliari. Il carcerato, detenuto oggi per altre cause a Cremona, è stato protagonista di un'evasione nel 2015: uscito da Rebibbia in regime di semilibertà, non si era presentato al lavoro né era rientrato in carcere all'orario previsto.
I conti correnti - Le indagini sono durate più di un anno e hanno fornito sin dall'inizio "significativi elementi" dell'esistenza di un "rapporto confidenziale" tra i due poliziotti e il detenuto. Gli investigatori hanno condotto accertamenti sui conti correnti appositamente aperti dalle guardie carcerarie e destinati al denaro che sarebbe dovuto arrivare dal carcerato. L’esistenza dei conti stessi, sostiene l'accusa, “ha consentito di comprovare l'esistenza di un rapporto corruttivo tra gli indagati”.