Tappe processuali e ritorno in libertà di Annamaria Franzoni
(di Thierry Pronesti)
Cogne vorrebbe dimenticare. Ma vent'anni dopo il delitto, le luci dello chalet di Montroz si accendono ancora. Di rado, nelle festività, come a Capodanno, Annamaria Franzoni e suo marito Stefano Lorenzi si concedono qualche giorno di riposo. Lì, dove tutto è iniziato.
"Numerosi e ripetuti colpi" la mattina del 30 gennaio 2002, tra le 8,15 e le 8,30, hanno fracassato la testa di un bambino di tre anni. Diciassette fendenti, con un'arma mai trovata.
Nessun mostro nel bosco, nessuna pista trascurata, secondo la giustizia l'unica responsabile della morte del piccolo Samuele è sua madre. Ci sono stati i pianti, le accuse di calunnia, i dibattiti in tv tra esperti e i plastici della villetta. Intanto Annamaria ha scontato la sua pena. Condannata in via definitiva nel 2008 a 16 anni per l'omicidio del figlio, nel 2019 è tornata in libertà. Sul suo appennino Tosco-Emiliano, a Monteacuto Vallese, a gestire un agriturismo. Vicina alla sua famiglia, che le è sempre stata accanto. Già dal giorno del suo arresto, il 14 marzo 2002.
In un mese e mezzo la procura aveva messo insieme gli elementi: il sangue sul pigiama, le macchie sugli zoccoli, gli otto minuti fuori casa per accompagnare l'altro bambino. Indizi non sufficienti per il tribunale del Riesame, che un paio di settimane dopo, come richiesto dall'avvocato Carlo Federico Grosso, la rimise in libertà. Il Riesame bis poi stabilì che l'ordine di cattura era valido, ma la donna attese il processo in libertà.
Passata alla difesa dell'avvocato Carlo Taormina, in primo grado scelse il rito abbreviato. Il 19 luglio 2004 il gup di Aosta la condannò a 30 anni. La difesa denunciò un vicino di casa e fu il Cogne-bis: la Procura di Torino ipotizzò un inquinamento della scena del delitto.
Il secondo grado partì il 16 novembre 2005, con Taormina che rimise il mandato un anno dopo. Al suo posto una legale d'ufficio, Paola Savio, insieme a Lorenzo Imperato. Una difesa più misurata e la Corte di Appello tenne conto delle attenuanti: pena ridotta a 16 anni, come poi confermato dalla Cassazione il 21 maggio 2008. Da quel momento la battaglia si spostò alla Sorveglianza.
La donna uscì dal carcere nel giugno del 2014 per scontare il resto della pena ai domiciliari, dopo che una perizia aveva escluso la possibilità di un altro delitto. Qualche mese prima il lavoro esterno in una cooperativa sociale e i permessi per periodi a casa con il marito e i due figli, il più piccolo nato un anno dopo l'omicidio. Dal febbraio 2019 la completa libertà, e il malcontento a Cogne per il suo eventuale ritorno.
Poi un contenzioso con l'avvocato Taormina riguardo ai suoi onorari e il rischio (infine venuto meno) di vedere la villetta di Cogne all'asta. E ancora, il ritorno al Tribunale Aosta. Come parte civile, in un processo per violazione di domicilio a carico di una troupe televisiva, poi assolta. In aula Annamaria ha denunciato un turismo macabro fuori dallo chalet. Vent'anni dopo, c'è ancora chi arriva a Cogne e chiede: "E' quella la casa?".