Ricercatori e orsi polari, una storia d’amore complicata

“L'orso è un animale protetto e quindi non lo si può cacciare”, mette subito in chiaro Tessa Viglezio, Station Leader Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, la stazione di ricerca multidisciplinare del CNR. “Il metodo di deterrenza più potente che c'è, e che abbiamo come primo da utilizzare, sono gli occhi; questo vuol dire che dobbiamo, ogni volta che siamo in campo, sapere sempre cosa c'è attorno a noi. Ogni pochi minuti va fatto un giro di sguardi per vedere se qualcosa attorno a noi è cambiato e se si vede arrivare l’orso. In caso di avvistamento, bisogna mettersi in una posizione innalzata e non perdere mai di vista l'individuo, perché gli orsi sono nel loro habitat, sanno come muoversi per cacciare. In ogni caso bisogna lasciare subito l’area e trovare un riparo.” “I ricercatori e le ricercatrici che devono stare all’aperto nelle zone frequentate dagli orsi polari hanno l’obbligo di equipaggiarsi con dispositivi di sicurezza quali radio , flare gun e fucile, da usare solo in casi estremi”, ci spiegano Ilaria Baneschi e Linda Franceschi , che spesso lavorano insieme in esterna a Ny-Ålesund. “Per poter noleggiare e portare con sé il fucile e la flare gun, dobbiamo prima di tutto fare un corso di sparo in Italia per poter ottenere il ‘Diploma di idoneità al maneggio delle armi’. Una volta arrivati a Ny-Ålesund, dobbiamo seguire il ‘Safety Course’ che consiste in una lezione teorica e una pratica per un totale di 4 ore. La lezione pratica funge anche da esame che ti permette di accedere all’uso delle armi a Ny-Ålesund. Se non si supera l’esame non si possono utilizzare le armi, ma è comunque possibile effettuare le proprie attività all’aperto e fuori dal centro abitato a condizione di essere accompagnati da una persona certificata all’utilizzo delle armi. In ogni caso, non si esce mai da soli . Per fortuna, dal 2024 il CNR ha effettuato una convenzione con la Guardia di Finanza e il Soccorso Alpino che mettono a disposizione del personale che ci accompagna sul campo e che supervisiona la situazione permettendoci di concentrarci maggiormente sul nostro lavoro”. Vi è successo di avere incontri ravvicinati con gli orsi? Ilaria Baneschi: Diverse volte. Sicuramente l’incontro più ravvicinato e per noi scioccante è stato nell’estate del 2019 durante un’uscita di campionamento sul ghiacciaio Vestrebroggerbreen. Eravamo appena scese dal ghiacciaio e non erano stati dati allarmi di avvistamento orsi nella zona frontale ai ghiacciai. Ci stavamo preparando per misurare la portata di acqua di un fiume che proviene dal ghiacciaio. Una nostra collega si era tolta gli scarponi e messa gli stivali per entrare nell’acqua mentre io stavo preparando il materiale per campionare. A un certo punto la mia collega, molto serenamente, mi chiese di alzare la testa e di guardare verso il mare: davanti a noi stava procedendo una mamma orsa con il piccolo in direzione diagonale per attraversare il fiume a circa 500 metri da noi con campo libero. Seguendo le istruzioni che ci avevano dato al corso, non ci siamo mosse, non abbiamo fatto movimenti bruschi e io ho chiamato con il telefono satellitare il watchman per informarlo della presenza dell’orso, comunicare la nostra posizione e chiedere cosa dovessimo fare. L’orsa non sembrava infastidita da noi e non aveva atteggiamenti minacciosi, semplicemente sembrava non curarsi di noi. Il watchman ci comunicò di averci viste e ci indicò di muoverci lentamente in direzione opposta a quella di cammino degli orsi, in un punto dove lui ci avrebbe raggiunto con il fuori strada. Abbiamo abbandonato zaini e strumentazione, preso telefono satellitare, radio, flare gun e fucile e ci siamo lentamente avviate verso il punto indicato, senza mai dare le spalle agli orsi per un bel pezzo. Il percorso verso il fuoristrada non è stato semplice, perché abbiamo dovuto attraversare tre torrenti, ma alla fine abbiamo raggiunto il watchman sane e salve e gli orsi hanno continuato tranquilli per la loro strada. Quando poi ci ha comunicato che la zona era sicura, siamo tornate a riprendere la strumentazione. Quindi la funzione del watchman è fondamentale… Ilaria Baneschi e Linda Franceschi: Sì, nell’estate del 2023, stavamo camminando dal ghiacciaio Austrebroggerbreen verso il lago Tvillingvatnet quando a metà strada, nella zona pianeggiante, sentiamo un annuncio che dice ‘A tutte le stazioni! Qui è il watchman che parla, un orso polare è stato avvistato a un chilometro a est di Ny-Ålesund!’. La rete di emergenza e il rapido passaggio di informazioni tra noi ricercatori e ricercatrici sul campo, la responsabile della base e il watchman e la conoscenza delle azioni da seguire da parte nostra non ha creato situazioni di pericolo né per noi né per gli animali. Nella disgraziata ipotesi in cui si verifichi un attacco cosa bisogna fare? Tessa Viglezio: Se si vede che l’orso sta venendo proprio nella nostra direzione bisogna mettersi in gruppo e posizionarsi come a creare una grande figura, così l'orso si metterà un po’ sull’attenti pensando di avere a che fare con qualcosa di grande, che forse va oltre le sue abilità, e potrebbe scoraggiarsi dall’avvicinarsi oltre. Se nemmeno questo funziona, bisogna lasciare un pezzo di indumento che con i suoi odori potrebbe distrarre l’orso e darci più tempo per allontanarci. Poi se l'orso ancora ci viene incontro si passa alla flare gun, che è una pistola segnaletica che fa solamente luce e rumore, e dovrebbe spaventare a sufficienza l’orso così da farlo allontanare o da dare il tempo a noi di allontanarci e arrivare in un posto sicuro che può essere la macchina, un edificio o il villaggio stesso. Se l'orso veramente sta attaccando, non solo girando attorno al gruppo che è sul campo ma proprio correndo verso il gruppo, allora in quel caso bisogna sparare e purtroppo si usano proiettili veri, che sono in grado di uccidere l’orso, non un tranquillante. Questo perché l’orso è pieno di tessuto adiposo quindi sparando un sonnifero, questo non farebbe effetto abbastanza velocemente: l’orso arriverebbe comunque addosso alle persone attaccandole. Ripeto, però: si arriva a sparare solamente se si tratta di ‘o io o lui’. Se si dovesse sparare all'orso e lo si dovesse ferire o uccidere, bisogna fare un rapporto al governatore delle Svalbard, che è quello che poi ha dato il permesso per usare le armi, per spiegare la situazione e aprire una procedura per confermare che si è sparato perché si era effettivamente in pericolo di vita. Da quello che ho capito, gli incontri sono frequenti e stanno aumentando in tempi recenti… Tessa Viglezio: Purtroppo con il riscaldamento dell'Artico, l’habitat naturale dell'orso, che è la banchisa, quindi il ghiaccio marino, si sta restringendo sempre di più e l'orso si ritrova in una situazione in cui non può davvero cacciare le foche come farebbe naturalmente e si sta pian piano adattando a trovare degli altri modi per nutrirsi. Si sta scoprendo ultimamente che alcuni orsi iniziano a cacciare le renne, per esempio, che non sono tipicamente prede naturali dell’orso perché hanno una quantità di grasso molto inferiore rispetto alle foche e gli orsi si cibano di grasso più che di muscoli e proteine. In più, le renne riescono a correre molto più a lungo dell’orso, hanno più resistenza. L’orso invece fa brevi scatti velocissimi e poi si surriscalda e si stanca. Ovviamente le renne non vivono sulla banchisa, ma sulla tundra, perciò l'orso - che non riesce più a mangiare le foche - cercherà delle alternative di cibo sulla terra ferma, ed è per questo che gli avvistamenti stanno aumentando.

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