Cosa ce ne frega della biodiversità

Ma davvero in un’epoca segnata da guerre sanguinose che ridisegnano l’ordine mondiale dopo decenni, da disuguaglianze gigantesche che rendono sempre più fragile la pace sociale, in cui 700 milioni di persone vivono con meno di 2,15 dollari al giorno, 811 milioni di persone soffrono di fame cronica e oltre 2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile, davvero, dicevo, occorre impegnarsi a spendere centinaia di miliardi di dollari per proteggere la biodiversità, come promesso nella COP15 sulla biodiversità di Montreal? Ma in fondo, per me che vivo in una città, per quanto possa avere simpatia per il bonobo, lo scimpanzé pigmeo del Congo, realmente è una priorità dell’umanità far sì che non scompaia? O tutelare l’abete dei Nebrodi? Per quanto la domanda sia posta in maniera fin troppo provocatoria, qualche dubbio probabilmente è lecito, almeno a giudicare dalla fatica che chi l’umanità ha delegato a parlare del problema, ha dimostrato alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità, sospesa a inizio novembre a Cali, in Colombia, che si riunirà nuovamente dal 25 al 27 febbraio 2025 a Roma, presso la sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura . Ne abbiamo parlato con Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo, direttore di Renewable Matters, che a Cali c’era. Bompan, è davvero così importante la biodiversità? Innanzitutto il tema della biodiversità va letto in maniera complessa, sempre legato agli altri fenomeni. Se per noi la priorità oggi è il clima, non si può pensare di affrontare con successo sia la mitigazione che l'adattamento, senza lavorare anche sulla biodiversità. Basta prendere due ambiti specifici: il primo è quello degli oceani. Oceani più sani, quindi con maggiore presenza di specie, maggiore capacità di presenza di alghe, di piante, ma anche poi di plancton e anche di grandi mammiferi, di pesci di tutte le dimensioni, contribuiscono alla capacità dell'oceano di assorbire temperatura, di assorbire CO2. E l'altro grande ambito, sempre legato al clima, è quello delle foreste e del suolo. Più i suoli sono sani, quindi con presenza di organismi, microrganismi di ogni tipo che aiutano la fissazione della CO2 nel suolo e più piante, più salubrità c'è nelle foreste, perché non basta avere gli alberi. Senza i funghi, senza gli insetti che danno il nutrimento, senza tutte quelle specie che creano equilibri ecologici stabiliti con milioni di anni di ricerca e sviluppo per creare sistemi più efficienti dalla Natura. Ed è possibile. Ovviamente non sono in grado di stoccare tutto, anche dove c'è bisogno. Ok, quindi aiutare la biodiversità aiuta nel processo di risposta al Climate Change, ma in che senso è un fattore nella gamma di servizi ecosistemici che fornisce? Da un lato gli ecosistemi ricchi di biodiversità creano un equilibrio che garantisce la stabilità e la resilienza dell'ambiente. Dall’altro ci sono i singoli servizi delle singole specie. L'abbiamo visto dove c'è grande dissesto idrogeologico, molto spesso non c'è un tessuto naturale forte in grado di rallentare e arrestare l'avanzamento dell'acqua in caso di alluvioni, in caso di grandi piogge. L'esempio più banale di adattamento a livello costiero tropicale sono le mangrovie. Ci sono centinaia di video che mostrano anche quali sono onde altissime anche in presenza di tipi di tsunami di medie dimensioni. Le mangrovie rallentano significativamente l'avanzamento dell'acqua nell'entroterra. O ancora le medicine, ci sono centinaia di medicine già scoperte, ma magari anche da scoprire in futuro, che vengono da singole spiagge, singole piante, singoli microrganismi che qualora venissero estinti, ovviamente non solo perderemmo un microrganismo dal nome buffo, ma potenzialmente perderemmo la futura cura di una malattia che oggi non ha cura. Quindi garantire anche, specie a volte dai nomi esotici o che nessuno neanche ha mai sentito. Non si tratta di difendere una qualche specie di uccello, si tratta di difendere servizi per la salute e il benessere, sviluppo economico dell'umanità. E questa è la grossa chiave di lettura che ci deve importare, perché da un lato è un elemento chiave per sfide globali difficilissime che ci troviamo di fronte e dall'altro perché anche i singoli elementi possono avere un ruolo critico in servizi economici, sociali e di sicurezza. Quindi esiste anche un fattore economico? Il primo settore che va a beneficiare della maggiore diversità e maggiore salubrità è quello economico. La complessità degli organismi che abitano il mondo agricolo ha una diretta correlazione con ciò di cui noi ci nutriamo; quindi, i suoli sani che garantiscono maggiore produttività del suolo e quindi maggiori rese agricole, specie in quei momenti in cui magari vanno a mancare i fertilizzanti chimici, che comunque in ogni caso indeboliscono il suolo. È un tema fondamentale per la sicurezza alimentare della nostra società. La COP 16 di Cali si è conclusa, anzi si non si è conclusa senza riuscire a trovare accordo su alcune questioni importanti. Che succede adesso? Durante le votazioni finali è mancato il quorum per poter approvare tutta una serie di testi, con il meccanismo del consenso, il meccanismo previsto per l’approvazione dai negoziati delle Nazioni Unite. In particolar modo quello che era il dossier più complesso: la strategia finanziaria per sostenere gli obiettivi dell’accordo firmato due anni fa a Montreal, il Global Biodiversity Framework, per arrivare al 2030 a raggiungere quegli obiettivi di ripristino e rigenerazione della biodiversità e della natura. Non è stato raggiunto il dossier per movimentare, entro il 2030, 200 miliardi di dollari l'anno a livello globale, incluso il grande tema di tutti i sussidi ambientalmente dannosi legati alla biodiversità. E poi hanno invece un obiettivo di movimentazione concreta di 20 miliardi di dollari entro la fine di quest'anno, cioè entro la fine del 2025. L'altro documento che non è stato votato è quello che solo 44 su 196 parti della Convenzione sulla Biodiversità hanno presentato piani nazionali aggiornati entro la scadenza prevista. Uno degli elementi che dovranno essere discussi a Roma, dove a febbraio riprenderanno i negoziati, è proprio il completamento di questo testo. Non penso saranno presentati altri testi anche perché sono solo tre giorni di negoziato, che serviranno per delineare eventualmente migliorie ai testi così come erano e cercare un consenso tra le parti. Non si lavorerà invece su due tematiche che erano state finalizzate e approvate a Cali: il nuovo forum delle popolazioni indigene, che quindi avranno maggiore possibilità di intervenire all'interno del framework. E poi un meccanismo abbastanza complesso di compensazione volontaria da parte di quelle aziende private che sfruttano la digitalizzazione del corredo genetico di piante e animali, che quindi se utilizzano questi digital sequencing del DNA delle specie per scopi farmaceutici, di cosmetica, di allevamento etc, sono invitati a pagare almeno l'1% 100 dei propri profitti per poter utilizzare poi queste risorse proprio per la tutela della biodiversità.

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