Trump: l’abbandono della lotta alla crisi climatica in 3 mosse

Non bastano i dati: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo con un riscaldamento superiore alla soglia critica del grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Non bastano le conseguenze di questi record: gli incendi a Los Angeles e gli uragani che hanno colpito gli Stati Uniti l’estate scorsa, solo per citare alcuni esempi recenti. Nel suo primo giorno alla Casa Bianca, Donald Trump decide di fatto di ritirare gli Stati Uniti dalla lotta alla crisi climatica. Tre, in particolare, le mosse che spostano il peso della transizione a stelle e strisce sui privati e sui singoli stati. Insomma, su tutti coloro che indipendentemente dalle scelte della nuova amministrazione, vorranno continuare a impegnarsi per un futuro a emissioni nette zero. Via dall'accordo di Parigi Partiamo dall’accordo di Parigi cioè lo strumento più importante per contrastare la crisi climatica. Come aveva già fatto nel suo primo mandato, anche questa volta Trump abbandona l’impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura media globale “ben al di sotto” i 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Washington si trova così curiosamente sulle stesse posizioni di Paesi come Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Sud Sudan, Turchia e Yemen . La differenza, ovviamente, la fa un dato: gli Stati Uniti sono il secondo maggiore emettitore di gas serra al mondo e la loro assenza si farà sentire nel contesto internazionale dove, nel frattempo, Cina e Unione Europea sono pronti a prendere un ruolo di leadership. La lotta all'eolico Nella sfilza di provvedimenti firmati il primo giorno c’è anche quello che mette nel mirino le rinnovabili, cioè una delle alternative ai combustibili fossili responsabili dei cambiamenti climatici. Il governo “non deve consentire nuove approvazioni o rinnovi, diritti di passaggio, permessi, concessioni o prestiti per progetti eolici terrestri o offshore” in attesa di quella che l’ordine definisce una “valutazione completa” dei molteplici impatti dell’industria sull’economia, sull’ambiente e su altri fattori. Anche in questo caso si tratta di una marcia indietro rispetto all’amministrazione Biden che aveva approvato 11 parchi eolici su scala commerciale nell’Atlantico. Anche in questo caso le mosse di Trump spianano la strada alla Cina che, nel frattempo, sta installando più energia rinnovabile di tutto il mondo messo insieme. Si scrive "emergenza energetica", si legge "drill baby drill" Terza mossa del nuovo presidente è la dichiarazione di una “emergenza energetica nazionale”. La motivazione? Il popolo americano sarebbe minacciato dai prezzi elevati dell’energia. Per questo l’ordine firmato da Trump invita i dirigenti delle agenzie a “esercitare qualsiasi autorità legale di emergenza a loro disposizione, così come tutte le altre autorità legali di cui dispongano” per facilitare la produzione energetica negli Stati Uniti, includendo — ma non limitandosi a — attività su terreni federali. La decisione, secondo tutti gli analisti, non è altro che la messa in pratica di quel “drill baby drill” diventato uno degli slogan elettorali dei repubblicani. Una crescita della produzione di gas, petrolio e carbone nonostante le conseguenze per il clima. A proposito di conseguenze, la Terra continuerà a cavarsela come ha sempre fatto. La vita umana – non soltanto quella dei cittadini statunitensi – faticherà molto ad adattarsi. Chi potrà permetterselo, però, potrà sempre emigrare su Marte.

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