Pfas in Italia, ora una mappa ci dice dove l'acqua è contaminata

“Il nuovo amianto”. Così Philippe Grandjean, professore di Medicina Ambientale ad Harvard, uno dei massimi esperti al mondo di inquinanti ambientali, ha definito i Pfas. Composti chimici di sintesi utilizzati nelle lavorazioni industriali che una volta dispersi nell’ambiente possono finire ovunque e, tramite l’acqua e il cibo, anche sulle nostre tavole. Estremamente persistenti nell’ambiente e, in alcuni casi, cancerogeni per gli esseri umani vengono utilizzati da decenni anche nella produzione di oggetti di uso comune, dalle padelle antiaderenti ai detergenti per la casa, dai tappeti ai capi di abbigliamento, nei prodotti di carta e cartone a contatto con gli alimenti. Si tratta di oltre diecimila molecole che di fatto non esistono in natura e sono prodotte esclusivamente dalle attività umane. Ma solo poche, pochissime di queste sono bandite a livello europeo o mondiale. “Acque Senza Veleni” è il titolo dell’indagine indipendente realizzata da Greenpeace Italia che ha raccolto acque potabili dalle fontane pubbliche di 235 città, in ogni regione e in tutte le province autonome. Si è focalizzata sulla presenza di 58 molecole, più del doppio delle 24 che l’Italia e gli altri Paesi europei, a seguito della direttiva 2020/2184, saranno obbligati a monitorare a partire dal gennaio 2026. Sulla base dei dati emersi dall’indagine dell’organizzazione ambientalista, il quadro è preoccupante: almeno una delle molecole riconducibili ai Pfas è presente nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati, in tutte le Regioni, e le Province autonome. “Quindi possiamo dire - afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia - che non esiste un territorio in Italia che possa dirsi non contaminato”. “Tra l’altro - aggiunge - in ogni Regione abbiamo trovato almeno 3 campioni positivi”. Le situazioni più critiche emergono in Liguria, con 8 campioni contaminati sugli 8 analizzati, in Trentino Alto Adige, 4 su 4, e poi Val d’Aosta, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana. L’unica regione con meno della metà dei campioni positivi è l’Abruzzo. Tra i comuni con le concentrazioni più alte risaltano Arezzo, Milano, ma anche Perugia e Arzignano, in Veneto. Le molecole più diffuse, le più presenti, sono risultate essere il PFOA, classificata dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che fa capo all’Oms, come cancerogena certa per l’uomo, rilevata nel 47% dei campioni. Segue il composto a catena ultracorta TFA, rilevato in 104 campioni, il 40% del totale, e il PFOS possibile cancerogeno sempre secondo l’agenzia dell’Oms, presente nel 22% dei campioni analizzati. “Sia il PFOA che il PFOS sono molecole di vecchia generazione - spiega Giuseppe Ungherese - messe al bando dalla Convenzione di Stoccolma entrata in vigore nel 2004, ancora oggi presenti nell’ambiente perché non si degradano”. “Ma ancora più preoccupante è la presenza di TFA che viene rilevata in quantità ben maggiore rispetto ad altre molecole, nell’ordine di centinaia e non decine, di nanogrammi”. È la più diffusa sul pianeta, per la quale in Italia non esistono dati pubblici. “Sostanza persistente e indistruttibile, che per le sue stesse caratteristiche non può essere rimossa mediante i più comuni trattamenti di potabilizzazione. Ed è ancora oggetto di approfondimenti scientifici” dice il responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Maggiori concentrazioni di questa molecola sono state rilevate in Sardegna, Trentino Alto Adige e Piemonte. Centrale è la questione dei limiti: la direttiva europea che entrerà in vigore a gennaio del prossimo anno pone un limite di 100 nanogrammi litro per le 24 molecole considerate. La legge però risale al 2020, e secondo gli esperti, con il quadro di conoscenze scientifiche attuali, risulta ampiamente superata. “Diverse nazioni hanno scelto di adottare parametri più severi di quelli previsti dalla direttiva europea, purtroppo - sottolinea con amarezza Ungherese - non è il caso dell’Italia”. “La Danimarca, relativamente a 4 sostanze, ha scelto di adottare una soglia limite pari a 2 nanogrammi per litro. Inutile dire che tra 2 e 100 la differenza è abissale”. Anche gli Stati Uniti hanno adottato misure più rigide per alcune sostanze: 4 nanogrammi per litro; stessa cosa ha fatto la regione delle Fiandre in Belgio, la Svezia. Anche la Germania ha limiti più bassi. “I nostri dati ci fanno dire con certezza che in tanti comuni è stata erogata acqua che in altre nazioni non è considerata sicura per la salute”. “Di fronte a questo scenario - è questa la richiesta di Greenpeace al governo - deve essere subito messa in atto un’azione politico-legislativa, non possiamo portare avanti quella che chiamiamo ‘politica attiva dell’inazione’. È necessario vietare subito la produzione e l’uso di queste sostanze, mettere in sicurezza l’acqua potabile in tutti i comuni in cui emergono criticità. Ma bisogna anche guidare il cambiamento, accompagnare il comparto industriale, occorre un piano di riconversione verso produzioni che non prevedano l’uso di queste molecole. Le alternative esistono”.

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