Cop29, cos’è il nuovo obiettivo di finanza climatica?

Soldi. Di questo si parla alla Cop29 di Baku, la conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. I negoziatori di tutti i Paesi del mondo, riuniti in Azerbaigian, devono trovare l’accordo su una sigla: NCQG. Sta per “New collective quantified goal”, cioè il nuovo obiettivo di finanza climatica. Serve ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a finanziare la transizione e adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. Eleonora Cogo, esperta di riforme della Finanza internazionale del think tank Ecco, ci spiega di cosa si tratta. Intanto, perché un “nuovo” obiettivo? “C’era un precedente obiettivo, quello dei 100 miliardi all’anno da dare ai Paesi in via di sviluppo. Dal 2020 al 2025. Era stata una decisione presa nel 2009, alla conferenza di Copenaghen. Il traguardo, oltre a essere stato raggiunto un po’ in ritardo - solo nel 2022 - si è dimostrato ormai obsoleto. Cioè le necessità finanziarie dei Paesi in via di sviluppo sono cresciute moltissimo, parliamo dell'ordine dei trilioni, cioè migliaia di miliardi”. Quali Paesi riguardava l’impegno? “L'obbligo era sui Paesi sviluppati, che sono stati definiti con una decisione nel 1992, quando è stata creata la Convenzione sul clima delle Nazioni Unite. Sono sostanzialmente i Paesi industrializzati, quindi Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda”. Perché questi Paesi? “Ai tempi c'era una chiara differenziazione tra chi era responsabile delle emissioni e aveva beneficiato di uno sviluppo, anche grazie all'uso dei combustibili fossili. E chi, invece, era un Paese povero. Ovviamente in questi trent’anni sono cambiate molte cose e quindi i Paesi sviluppati dicono: non è giusto che l’obbligo ricada solo su di noi, ci sono altri che sono in grado di contribuire e spesso citano tra questi”. A chi fanno riferimento? “Alla Cina e ai Paesi del Golfo”. Cosa intendiamo quando parliamo di finanza? “Nel vecchio obiettivo avevamo la finanza pubblica, che sostanzialmente è la cooperazione bilaterale, quanto i Paesi danno ai vari fondi per il Clima, come il Green Climate fund, il Fondo per l'adattamento. Ma anche i finanziamenti che vanno nelle banche multilaterali di sviluppo, come per esempio la Banca Mondiale, la Banca africana di sviluppo. In più c'era anche una piccola componente”. Quale? “La finanza che viene mobilizzata: lì andiamo a vedere i soldi che vengono dal settore privato, che però si attiva tramite un incentivo pubblico. Può essere una garanzia o un cofinanziamento. Un argomento di discussione qui è che si vuole allargare lo sguardo e vedere anche cosa fa il settore privato per conto suo. O anche capire cosa fanno i Paesi via di sviluppo per cercare di attirare la finanza a livello domestico”. Come devono arrivare questi soldi? “Nel vecchio obiettivo molta di questa finanza, quasi il 70%, veniva da prestiti, quindi non da sovvenzioni. Su questo c'è molta discussione perché i Paesi in via di sviluppo dicono: un prestito non puoi considerare un aiuto climatico. Va ad aggravare una situazione debito pubblico resa ancora più complicata da quanto è accaduto negli ultimi anni”.